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Contributi non versati dall’azienda, partono multe salatissime


Il mancato versamento dei contributi è un comportamento scorretto e illegale da parte del datore di lavoro, e può avere gravi conseguenze, sia sul piano amministrativo che penale. Si tratta, in sostanza, della situazione in cui un’azienda non versa — in tutto o in parte, e oltre i termini previsti — i dovuti contributi previdenziali e assistenziali per i propri dipendenti, obbligatori per legge.

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In questi casi, il lavoratore è esposto al rischio di non avere un’adeguata copertura contributiva, con conseguenze su pensione, indennità o Naspi. Al tempo stesso, il datore vìola un obbligo fiduciario centrale nel rapporto di lavoro. Ecco perché le norme vigenti prevedono sanzioni anche severe, sia sul piano amministrativo che penale.

Lo scorso 8 luglio, la Corte Costituzionale ha chiarito che è pienamente legittimo — e quindi non incostituzionale — applicare una pesante sanzione amministrativa al datore di lavoro che omette il versamento delle ritenute sullo stipendio del proprio dipendente.

Considerando i rischi in gioco, sia reputazionali che economici, per le aziende poco corrette, vediamo insieme i punti chiave della sentenza n. 103 della Consulta e cogliamo l’occasione per chiarire a cosa le imprese devono prestare particolare attenzione, al fine di evitare brutte sorprese.

Mancato versamento contributi davanti alla Corte Costituzionale

La decisione della Corte ha origine da una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Brescia, in funzione di giudice del lavoro.

In generale, quando un magistrato solleva una questione del genere, significa che ritiene dubbia la compatibilità di una determinata norma con la Costituzione. Per questo motivo sospende il procedimento in corso e rimette la questione alla Consulta, chiedendole di verificare se la norma sia effettivamente conforme ai principi costituzionali.

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Nel caso specifico, si trattava di due giudizi promossi da datori di lavoro sanzionati per omesso versamento di ritenute assistenziali e previdenziali tra il 2013 e il 2015.

Il giudice bresciano lamentava la sproporzione della sanzione amministrativa, ritenuta eccessivamente onerosa rispetto alla sanzione penale prevista per omissioni superiori a 10.000 euro, soprattutto in mancanza della possibilità di graduare la sanzione minima in base alla condizione soggettiva del trasgressore.

Ricordiamo che un principio fondamentale del nostro ordinamento, condiviso anche dalla giurisprudenza costituzionale, è che la sanzione penale è tendenzialmente più grave, afflittiva e costosa di quella amministrativa.

In particolare, sotto esame era finito l’art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge n. 463/1983, così come modificato dal decreto-legge n. 48/2023, che prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 1,5 a 4 volte l’importo omesso per le aziende che non versano le ritenute previdenziali e assistenziali, entro il limite di 10.000 euro annui.

Ebbene, la Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale e, di conseguenza, ogni datore di lavoro che commette questa grave irregolarità, ai danni del proprio dipendente, continua a essere esposto alle sanzioni previste dalla normativa vigente.

In base all’art. 2, comma 1-bis, se l’omissione supera i 10.000 euro annui, scatta la sanzione penale: reclusione fino a tre anni e multa fino a 1.032 euro. Se invece l’importo non supera tale soglia, si applica la sanzione amministrativa.

Tuttavia, l’azienda non è punibile — né penalmente né amministrativamente — se provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento della violazione.

Cosa prevede la legge per chi non versa i contributi previdenziali

Nel giungere alla propria decisione, la Consulta ha chiarito innanzitutto che il legislatore ha piena discrezionalità nel determinare e graduare l’entità delle sanzioni, a condizione che vengano rispettati i principi di ragionevolezza e proporzionalità. E nel caso in esame, tali principi risultano rispettati.

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Soprattutto, secondo la Corte, una sanzione amministrativa pecuniaria di entità significativa è giustificata dal particolare disvalore sociale del comportamento sanzionato. Come si legge nella sentenza:

L’omesso versamento delle ritenute da parte del datore di lavoro si traduce nella distrazione di somme delle quali egli ha la disponibilità, benché le stesse facciano già ontologicamente parte della retribuzione del lavoratore e siano destinate all’erogazione di prestazioni essenziali e attinenti a beni irrinunciabili.

Non solo. La Corte ha ricordato che la responsabilità penale può essere accertata soltanto in sede giudiziaria e, proprio per questa ragione, comporta una maggiore afflittività rispetto alla sanzione amministrativa.

Il trasgressore è sottoposto a indagini e subisce le pesanti conseguenze che l’ordinamento ricollega a tali vicende, come ad esempio le restrizioni nella capacità di contrattare imposte all’imprenditore condannato.

In altri termini, il paragone tra sanzione amministrativa e penale è fuorviante.

La responsabilità penale ha un impatto ben più ampio, anche se la sanzione si traduce in una multa. Oltre al processo e alle pene accessorie, rilevano anche le conseguenze sull’immagine e sulla posizione del soggetto coinvolto.

Come sottolinea la Consulta, infatti, il reato:

è punito anche con una sanzione pecuniaria e può determinare, quantomeno in linea generale, ulteriori conseguenze a carico del responsabile, come le pene accessorie o l’obbligo di risarcire il danneggiato.

Cosa cambia per le aziende dopo la sentenza della Corte Costituzionale

Dopo la sentenza n. 103 della Corte Costituzionale, le norme — pur incisive e severe — in materia di mancato versamento dei contributi restano pienamente in vigore.

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La Consulta ha ribadito che tali disposizioni perseguono uno scopo legittimo e pienamente conforme ai valori costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza ed eguaglianza.

Il legislatore, infatti, intende disincentivare pratiche evasive e garantire la piena tutela dei diritti dei lavoratori subordinati, che possono attivarsi anche per richiedere il versamento del Tfr non corrisposto. Al contempo, si salvaguarda la stabilità del sistema pensionistico nazionale.

In sintesi, il quadro normativo attuale resta invariato:

  • per le omissioni fino a 10.000 euro l’anno, si applica una sanzione amministrativa compresa tra il 150% e il 400% dell’importo omesso;
  • per le omissioni superiori a tale soglia, scatta il reato penale, punito con la reclusione fino a 3 anni o con una multa fino a 1.032 euro.

In ogni caso, oltre alle sanzioni, il datore di lavoro è comunque obbligato a versare i contributi non pagati, maggiorati degli interessi di mora e delle eventuali sanzioni civili.





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