Dopo una lunga serie di annunci, alla fine i dazi voluti da Trump per l’Europa saranno del 15%, ed entreranno in vigore dal primo di agosto. Dopo mesi di tensioni, Usa e Unione europea hanno trovato una quadra sui “dazi reciproci” sulle merci europee. In realtà, come spiega l’analisi dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, di reciproco hanno ben poco dato che l’Ue ha fino a ora applicato un dazio medio dello 0,9% sulle merci a stelle e strisce. L’Europa sembra però non voler reagire all’offensiva americana, lasciando così in sospeso “sia i contro-dazi su 93 miliardi di euro di beni statunitensi, sia le misure sui servizi offerti da aziende Usa in Europa”.
Gli effetti dei dazi voluti da Trump
Come è logico pensare, i dazi americani penalizzeranno soprattutto quei Paesi che commerciano di più con gli Stati Uniti, come Italia e Germania. A livello settoriale, il dazio verrà applicato anche alle auto (portandolo però dal 25% al 15%, in base ai precedenti accordi) e alle aziende farmaceutiche, prime esenti dalla misura. Non viene invece modificata la quota del 50% che interessa acciaio e alluminio.
In questo scenario di dazi medi al 15%, l’Ispi prevede un impatto in termini negativi dello 0,3% sul Pil tedesco, dello 0,2% su quello italiano, e dello 0,1% sul Pil francese. Ma i problemi per l’export europeo non terminano con i dazi. “A pesare ulteriormente sui prodotti Ue venduti negli Stati Uniti contribuisce anche l’andamento del tasso di cambio dollaro-euro. Dall’insediamento di Trump (20 gennaio) a oggi, il dollaro ha perso il 13% del suo valore rispetto all’euro”, spiega infatti l’Istituto. Si tratta dunque di una sorta di dazio aggiuntivo, dato che il deprezzamento del dollaro costringe gli esportatori a “scegliere tra mantenere invariati i prezzi in dollari abbassando quelli in euro (e dunque i propri ricavi), o rischiare di perdere competitività”.
I dazi sulle merci europee potrebbero far crescere le entrate fiscali degli Stati Uniti fino a 91 miliardi di dollari l’anno, partendo dai sette miliardi dell’era pre-Trump. Ma se, come indicano i principali modelli macroeconomici, le esportazioni europee verso il mercato americano dovessero calare del 25–30%, il gettito effettivo si fermerebbe attorno ai 66 miliardi. Una cifra comunque considerevole: si tratta di quasi nove volte superiore a quella di partenza.
I dazi complicano anche gli altri accordi dell’Unione?
L’analisi si focalizza infine su un aspetto poco considerato dal dibattito sui dazi: il provvedimento dell’amministrazione americana rischia di complicare anche altri accordi commerciali dell’Unione. Questo perché, tra tutte le aree economiche del mondo, l’Unione europea è quella che più assomiglia agli Stati Uniti per struttura della domanda. È quindi naturale che molte aziende straniere, tagliate fuori dal mercato americano, inizino a guardare proprio all’Europa come possibile valvola di sfogo. Ciò porterebbe a un “effetto collaterale paradossale”: più l’Europa si apre più rischia di essere un terreno di competizione per gli stessi partner con cui vorrebbe stringere accordi.
Copertina: ANSA
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