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Nella maggioranza ripensamenti sul Piano C per l’ex Ilva, Pd diviso


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TARANTO – Il sindaco riprende il timone della nave, ma adesso dovrà mantenere la rotta tracciata, in acque sempre più agitate. Bitetti e la sua maggioranza hanno portato al ministro Urso un documento che detta le condizioni imprescindibili per la sottoscrizione dell’accordo di programma per l’ex Ilva di Taranto. Passerà prima dal consiglio comunale convocato per il 6 agosto, e il 12 dovrebbe essere discusso a Roma.

Gli enti locali – ieri – non hanno firmato né l’intesa né il verbale che chiudeva la riunione al Mimit, che era sembrato in realtà un preaccordo, privo peraltro delle dichiarazioni dei soggetti istituzionali al tavolo. Ma si dovrà arrivare a una sintesi, a una condivisione, soprattutto con quella parte di città che chiede la chiusura della fabbrica (alcune associazioni hanno lavorato al Piano Taranto).

 

Il cosiddetto Piano C (che riepiloghiamo in coda all’articolo) prende forma, ma sembrerebbe che all’interno della stessa maggioranza qualcuno ci stia ripensando, dopo la netta bocciatura dei sindacati e del mondo ambientalista. Se il sindaco è stato chiaro (“non indietreggio di un centimetro su salute e ambiente”), tra i consiglieri comunali qualcuno – sembrerebbe – potrebbe anche cambiare idea, spaventato dalle possibili conseguenze.

 

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I ripensamenti, a quanto pare, sarebbero da individuare nel Partito Democratico. Del resto la linea Emiliano tiene ancora in terra ionica, seppure indebolita se non ridimensionata dall’asse Comune-Provincia, Bitetti-Palmisano, decisa a non accettare imposizioni né dal governatore né dal ministro Urso.

 

I prossimi giorni saranno cruciali per saldare la maggioranza e la città nel confronto col governo, mentre l’opposizione resta silente, in attesa che siano altri a fare il passo decisivo. Di certo servirebbe coesione, perché l’interrogativo che vale per tutti è lo stesso: chi metterà quei 10 miliardi, al di là di come verrà riformulato il bando di gara per l’acquisizione di Acciaierie d’Italia?

 

Forse sarebbe il caso di discutere, davvero, di un piano di bonifica e rilancio dell’area dell’ex Ilva, con l’insediamento di nuove imprese green che possano produrre e inviare nel mondo prodotti finiti sfruttando il porto, l’aeroporto e una rete ferroviaria degna della terza città più grande dell’Italia peninsulare. Serve coraggio e visione, e un minimo di aderenza alla realtà, oltre che unità di intenti. Invece nella maggioranza c’è chi vorrebbe addirittura fare un passo indietro.

Il Piano C

Nel documento a firma della maggioranza, che ha accompagnato Bitetti al ministero delle Imprese e del Made in Italy, l’amministrazione – lo ricordiamo – si impegna a depositare, “previa valutazione legale”, il ricorso al Tar contro l’ultima Aia che di fatto autorizza a 12 anni di produzione a carbone, qualora, contestualmente all’accordo, non venga avviato il procedimento di revisione dell’Aia stessa per aggiornare i contenuti in coerenza con la proposta.

 

Prevede la “chiusura progressiva dell’area a caldo a carbone e sostituzione con forni Eaf e senza Fsru”, nonché la “riduzione delle emissioni, compatibilità con futura alimentazione a idrogeno verde, garanzie occupazionali e percorsi di riqualificazione”.

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Tra le condizioni vincolanti proposte: “Dismissione graduale ma irreversibile dell’area a caldo entro il 2030; predisposizione di un Dri per alimentazione progressiva a idrogeno verde; installazione di forni elettrici compatibili con l’idrogeno verde; tutela occupazionale con percorsi di riqualificazione per i lavoratori; inizio contestuale delle bonifiche; adeguamento Aia; necessità di valutazione di impatto ambientale e sanitario; impianto di cattura di CO2; tutela delle prospettive occupazionali con piano di mappatura delle competenze”. Previste anche “clausole di revoca in caso di inadempienza a garanzia del piano”.

 

Salute, ambiente e lavoro devono essere parte di un equilibrio imprescindibile, quindi ogni nuovo piano industriale, secondo la maggioranza, dovrà passare per una rigorosa Valutazione di Impatto Ambientale e Sanitario (VIAS), con meccanismi certi per la salvaguardia dei posti di lavoro e per lo sviluppo di un’economia sostenibile. Si propone inoltre la definizione di un Accordo di Programma in due fasi – una istituzionale e una operativa – come unico strumento capace di garantire insieme riconversione ambientale, sostenibilità produttiva, garanzie occupazionali e rigenerazione urbana.

 

 

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