Nel cuore della strategia italiana per la transizione ecologica c’è un elemento sempre più cruciale: il litio, metallo leggero e strategico per la produzione di batterie, auto elettriche e sistemi di accumulo energetico. Ma se il litio è il simbolo del futuro, dove e come lo estraiamo diventa una questione fondamentale di sostenibilità, indipendenza e politica industriale.
Litio da fluidi geotermici: la svolta
L’Italia ha deciso di rispondere a queste criticità con un approccio innovativo e sostenibile: estrarre litio dai fluidi geotermici. Si tratta di un’operazione complessa, ma ad altissimo potenziale, ora formalizzata all’interno del nuovo Programma Nazionale di Esplorazione (Pne), redatto da Ispra su mandato del Governo e in linea con il Critical Raw Materials Act (Crma) europeo.
Il Pne, previsto dal Dl 84/2024 (convertito nella Legge 115/2024), rappresenta la prima vera ricognizione sistematica sulle risorse minerarie italiane degli ultimi trent’anni.
Uno dei suoi obiettivi principali è proprio quello di indagare la presenza e l’estraibilità del litio da fonti geotermiche, ponendo l’Italia in una posizione strategica nella nuova corsa europea all’autonomia mineraria.
Il litio geotermico è contenuto in acque calde sotterranee (dette anche salamoie) utilizzate per la produzione di energia geotermica.
Queste acque, oltre a generare elettricità, sono ricche di elementi disciolti, tra cui litio in concentrazioni potenzialmente estraibili.
A differenza dell’estrazione tradizionale da miniere (che comporta grandi evaporatori e forte impatto idrico-ambientale), quella geotermica permette di:
- ridurre le emissioni di CO₂;
- limitare il consumo di suolo;
- integrare produzione energetica e mineraria nello stesso impianto;
- minimizzare l’impatto sull’ambiente e sul paesaggio.
Secondo l’Ispra si tratta di una soluzione concreta e praticabile per estrarre litio in modo sostenibile, valorizzando le infrastrutture energetiche già presenti sul territorio.
Le regioni italiane dove si può estrarre litio
Nel documento del Pne vengono indicate chiaramente le aree ad alto potenziale per il litio geotermico.
Toscana
Le aree di Larderello e Monte Amiata presentano concentrazioni di litio fino a 350 mg/l nei fluidi geotermici.
Sono zone già industrializzate dal punto di vista geotermico, quindi strategiche per una riconversione sostenibile.
Lazio
La zona vulsina, in particolare nella provincia di Viterbo, mostra salamoie ad alta temperatura e contenenti litio oltre i 200 mg/l.
Campania
Nei Campi Flegrei e a Ischia i dati geochimici sono incoraggianti, anche se ancora in fase di verifica.
Emilia-Romagna, Piemonte, Trentino Alto Adige, Lombardia e Marche
Queste regioni rappresentano aree target in fase di studio, con condizioni geologiche favorevoli alla presenza di fluidi ricchi di minerali.
In tutti i casi le attività previste dal Pne si fermano alla fase di esplorazione di base, non invasiva e orientata alla conoscenza: rilievi, modellazione 3D, analisi dei dati, telerilevamento, senza impatti ambientali rilevanti.
Quanta materia c’è? Le stime di Ispra e il valore
Secondo quanto riportato nel Programma Nazionale di Esplorazione il potenziale del litio geotermico italiano potrebbe coprire fino al 10% del fabbisogno europeo da qui al 2030.
Le aree a oggi indagate hanno concentrazioni di litio superiori a molti altri progetti europei già in corso (esempio Upper Rhine Valley, Francia).
Solo nella fascia tosco-laziale, Ispra stima la possibilità di generare oltre 500 posti di lavoro diretti e almeno 1.500 nell’indotto tra geologi, ingegneri, tecnici e operatori ambientali.
Oltre al valore economico, è centrale la valenza strategica: oggi l’Europa importa il 97% del proprio litio e la quasi totalità di quello raffinato.
L’avvio di una filiera nazionale per l’estrazione da fonti geotermiche garantirebbe maggiore autonomia tecnologica e industriale all’Italia e offrirebbe nuove opportunità per l’intera catena, dalla ricerca al riciclo.
Urbes, il litio anche dai rifiuti minerari
Il piano italiano per il litio si integra con un secondo progetto del Pnrr, Urbes (Urban mining and Extractive waste information system). L’obiettivo è recuperare materie prime critiche e strategiche anche da vecchi siti minerari abbandonati e da fanghi industriali.
Nel distretto minerario di Monteponi (Sardegna), ad esempio, i fanghi rossi contengono già zinco fino all’8%, ma si stanno analizzando anche concentrazioni di litio, antimonio e terre rare.
Questo significa che, oltre a estrarre litio da nuove fonti, l’Italia potrebbe valorizzare le sue scorie, in linea con i principi dell’economia circolare e della minimizzazione degli impatti ambientali.
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