TARANTO – Quando la politica è piena di livore rivela solo frustrazione.
Ho letto in questi giorni commenti, giudizi e congetture. Tutto ipocritamente preconfezionato, inutile e dannoso. Persino gli slanci di solidarietà mi sono apparsi spesso motivati dalla preocuppazione che la “rottura del giocattolo” a molti, non avrebbe giovato, in particolare ai destini personali. Ma anche questo è scontato nella politica politicante vicina all’utilità personale più che al dichiarato bene comune. Diversa la solidarietà di chi ha riposto nel Sindaco la speranza e la fiducia in un radicale cambiamento nella rappresentatività delle Istituzioni.
I giudizi che ho espresso in campagna elettorale, avevano il valore di una fondata preoccupazione e mi sono chiesto più volte se avessi trascurato margini di possibile mediazione per contribuire a definire una rotta condivisa. Si è scelto il rischio di navigare a vista…
“Unire Taranto”: una buona quanto legittima intuizione che ha voluto esprimere Piero Bitetti con la sua candidatura, purtroppo minata sul nascere dalla logica pregiudiziale delle formule, che spesso prescindono dai contenuti e dalle scelte, perchè dettata dall’arida logica dei numeri utili per vincere. Ma governare richiede altro!
Bitetti non è un “politologo”. La sua è sempre stata “una politica di prossimità“, con tutti i suoi limiti e virtù. Questo profilo umano, ancor prima che politico, lo ha portato a leggere e conoscere il “sentimento popolare” della sua Città. Nel suo programma ha chiaramente espresso la volontà di porre fine al ciclo integrale. Quando sostiene che vanno chiuse tutte le fonti inquinanti (parchi primari, cokerie, impianti di agglomerazione, altiforni, acciaierie BOF, considerati per le loro caratteristiche e dimensioni, processi a elevato impatto ambientale e sanitario) esprime un sincero convincimento intimo e personale, prim’ancora che rappresentativo di una volontà diffusa. In queste ore ha voluto chiarire che non ha mai pensato alla chiusura dello stabilimento. Diverso orientamento quindi da chi, anche all’interno della sua maggioranza, vede i possibili esiti di questa drammatica situazione come una battaglia terminale che non ammette mediazioni e percorsi condivisi, accettabili e comunque certi e credibili.
A Taranto si sta giocando una partita fondamentale per consentire all’Italia di continuare a rivestire un ruolo cardine nella produzione di acciaio di alta qualità. Una opportunità per il territorio, francamente in questi anni non ne ho viste altre, che potrà valorizzare fortemente la filiera siderurgica/energetica/tecnologica che rappresenta una risorsa fondamentale per la manifattura italiana, che ambisce a rimanere la seconda in Europa.
Non presentarsi al tavolo sarebbe stata una sconfitta per la Città e per chi è stato eletto a rappresentarla. Che non ci fosse “agibilità politica” è un ammissione tardiva che andava colta in campagna elettorale. Prenderne atto oggi è comunque intellettualmente e politicamente corretto. Ha fatto bene quindi Bitetti a mettere il paletto: il Sindaco che la Citta ha scelto e voluto sono io, sono io che ho preso impegni e ci ho messo la faccia, a me spetta rappresentarla. Se non mi è consentito, sono pronto a rimettere subito il mandato. Quanto l’avviso fosse rivolto ai “minacciosi incappucciati” e/o a subdoli partner non è dato di sapere, si potrebbe solo intuire e ci sarà tempo e modo per comprenderlo.
Competitività del prodotto acciaio e sostenibilità ambientale acquistano sempre maggiore rilevanza per tutti gli stakeholder coinvolti nei processi industriali.
Quanto è strategico, oggi, l’acciaio? Si può pensare e realizzare una fabbrica che continui a produrre acciaio rispettando l’ambiente e la salute? Si può tentare di superare la conflittualità sociale per evitare che Taranto e l’Italia perdano un asset importante del proprio tessuto produttivo ed economico? Una “scommessa” ciclopica, ardua e impegnativa per consistenza patrimoniale, dimensioni territoriali, tecniche, d’impatto sociale e sanitario.
L’Italia è un paese manifatturiero, uno dei settori chiave della manifattura è l’industria meccanica, l’acciaio è imput fondamentale in questa industria.
Viviamo in un mondo nuovo, in cui ci sono tre grandi poli di potenza economica e politica, la Cina, gli Usa e la Ue. E’ ora che l’Europa si svegli e che l’Italia capisca quali sono le industrie strategiche. L’ex Ilva e l’acciaio sono sicuramente strategici.
C’è resistenza e incompetenza a comprenderlo. Si confonde un problema industriale del Novecento con il problema di oggi: nel Novecento l’inquinamento a Taranto era questione molto seria, ma siamo nel 2025 e dobbiamo guardare alla situazione con gli occhi di oggi, non con quello delle dolorose ferite inferte. Il mondo di oggi ci dice che senza acciaio, cioè senza elementi fondamentali strategici, diventiamo deboli ed esposti ai nostri competitor.
L’Italia è oggi il secondo produttore europeo di acciaio dopo la Germania, con un comparto che genera un valore superiore ai 40 miliardi di euro e occupa oltre 80 mila addetti tra diretti e indiretti. Una filiera strategica, tanto più in un’epoca in cui i temi dell’approvvigionamento di materie prime, della politica industriale e della transizione tecnologica tornano al centro delle agende europee. Pensiamo alla cantieristica navale militare, alla logistica, alle infrastrutture critiche. Senza acciaio non si costruiscono mezzi né piattaforme. Se per realizzare asset strategici dobbiamo dipendere da altri Paesi, allora l’autonomia europea diventa solo una chimera. Soprattutto se guardiamo con la dovuta consapevolezza al campo della difesa e della sicurezza.
La crisi energetica provocata dalla guerra in Ucraina ha dato un impulso al processo di transizione ecologica in diversi Stati per l’esigenza di trovare alternative valide al gas russo per la produzione di energia elettrica. Una di queste alternative promette di trasformare il nostro Paese in hub energetico del Mediterraneo per la gestione di flussi da fonti rinnovabili attraverso un “corridoio” che vede l’altro capo in terra africana, che irradierà energia anche al resto d’Europa.
Taranto può ambire a un ruolo centrale nel Mediterraneo. Per posizione geografica, relazioni storiche, affinità culturali, possiamo essere un punto di connessione naturale tra Europa e Nord Africa. Quest’area è destinata a crescere molto, e può rappresentare per noi una doppia opportunità: da un lato nuovi mercati industriali, dall’altro un bacino di manodopera qualificata, che oggi ci manca. Se sapremo costruire filiere intelligenti e integrate, potremo essere protagonisti in un equilibrio industriale nuovo, più aperto e più strategico.
Tutti sanno che l’obiettivo della neutralità carbonica al 2050 è irraggiungibile, ma nessun politico ha il coraggio di dirlo perché teme di passare per negazionista. Bisogna trovare il coraggio di ammetterlo senza negare l’obiettivo di perseguire la decarbonizzazione evitando di farla diventare il principale nemico di famiglie e imprese.
A differenza di quanto purtroppo avvenuto nel passato, gli investimenti non possono essere frenati dagli estremisti del green. Senza gas non c’è transizione!
L’idea è quella di attuare un percorso di decarbonizzazione progressiva, passando dal gas naturale a quote sempre maggiori di gas rinnovabili, come biometano e poi idrogeno. Il secondo pilastro è relativo, nello specifico, all’H2: “In questo caso lo scopo è mettere a punto una progettualità di ampio respiro dedicata all’introduzione dell’idrogeno nell’acciaieria, che porti a sviluppare strutture per la distribuzione, il trasporto e lo stoccaggio funzionali all’approvvigionamento di questo combustibile. Infine, il terzo ambito è più legato alle attività di ricerca e sviluppo che consentirà a Snam e Acciaierie d’Italia di mettere a frutto le rispettive competenze nella gestione dei gas, e in particolare dell’idrogeno, e nella produzione di acciaio, sempre nell’ottica di una progressiva decarbonizzazione di questo comparto industriale.
Re Gordio legò il timone del suo carro con un nodo così complicato che nessuno riusciva a scioglierlo. Alessandro Magno, per risolvere la questione, lo tagliò con la spada…per molti anni i governi che hanno guidato il Paese non hanno sciolto il nodo gordiano tra inquinamento e produzione dell’acciaio, tagliando e bloccando investimenti, lavoro, crescita economica e sviluppo.
Occorre assicurare la sopravvivenza della siderurgia a Taranto avviando rapidamente la realizzazione degli investimenti necessari, secondo un piano di medio termine, volto ad un cambiamento necessario per la decarbonizzazione e la sostenibilità ambientale e sanitaria. Le preoccupazioni dell’opinione pubblica, dalle autorità locali devono essere ben tenute in considerazione e va quindi definito un assetto compatibile e soprattutto condiviso.
La transizione ecologica comporta la trasformazione della fabbrica con complessi e costosi investimenti e con implicazioni gestionali che richiederanno la presenza dello Stato non solo nei capitali necessari ma anche in una serie di azioni di sostegno governativo per assicurarne il funzionamento e la sostenibilità. Difficilmente un gruppo privato sarebbe in condizioni di operare questa trasformazione. Nel transitorio della trasformazione la sostenibilità tecnico-economica e occupazionale dell’ex ILVA sarebbe assicurata solo se fossero tenuti in regolare funzionamento gli impianti dell’“area a caldo”, adeguati alle normative e alle migliori tecnologie con consistenti investimenti.
Il presupposto è quello di superare la conflittualità sociale. Una precondizione irrinunciabile è quella relativa alla Valutazione di Impatto Sanitario con le linee guida della VIS ISTISAN 19.9 connessa con le emissioni nocive dello stabilimento. Uno strumento scentificamente autorevole e incontestabile che darebbe al Sindaco il potere di tutelare la salute dei suoi concittadini.
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