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Divario digitale, l’intelligenza sta aumentando le differenze tra i paesi più ricchi, le big tech e il resto del mondo


“Il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito”. La stranota citazione di William Gibson, padre del cyberpunk, si applica alla perfezione a quella che, in effetti, è la tecnologia più cyberpunk che la nostra epoca abbia conosciuto: l’intelligenza artificiale.

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Fino a questo momento, l’attenzione nei confronti dell’intelligenza artificiale – e in particolar modo di quella generativa – si è concentrata sull’impatto che sta iniziando ad avere a livello lavorativo e su quello che potrebbe avere sull’informazione, sull’educazione, sulla politica e altro ancora. Sui modi, insomma, in cui questa innovazione potrebbe avere ripercussioni positive e come invece, spesso per una corsa alla riduzione dei costi, rischia di avere un effetto negativo.

Ciò su cui ci si è invece concentrati meno è il rischio che l’intelligenza artificiale aumenti il divario digitale, ovvero la distanza tra chi ha accesso alle tecnologie digitali – e ha le competenze per utilizzarle al meglio – e chi invece ne è escluso, ampliando così le disuguaglianze sociali, economiche e professionali.

Una recente ricerca dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha studiato proprio le conseguenze dell’accesso diseguale all’intelligenza artificiale generativa tra i 36 paesi membri dell’organizzazione, in termini di luoghi, settori e aziende.

I numeri di questo cambiamento

Partiamo dai dati complessivi: nel 2024, il 13,5% delle aziende con sede nell’Unione europea e il 13,9% delle aziende con sede in tutti i paesi Ocse (tra cui Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e altre nazioni del cosiddetto “primo mondo”) avevano implementato sistemi di intelligenza artificiale.

Questa percentuale, tutto sommato modesta, nasconde al suo interno differenze molto elevate che nel giro di pochi anni si sono fatte ancora più estreme. In media, le nazioni europee che meno hanno integrato i sistemi di intelligenza artificiale (tra cui, con percentuali variabili, Romania, Polonia, Ungheria, Grecia e altre) sono passate dal 2% del 2021 al 4% del 2024. Nello stesso lasso di tempo, l’adozione nelle nazioni più avanzate (fondamentalmente il Nord Europa) è passata dal 16 al 28%, aumentando di dieci punti percentuali il distacco.

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Il divario riguarda anche i settori presi in considerazione. Come si legge nella ricerca, “l’adozione dell’intelligenza artificiale è stata molto più rapida nei servizi ad alta intensità di conoscenza, nelle grandi imprese e nelle aree capoluogo, facendo sì che il divario rispetto alla fascia medio-bassa si sia ampliato. Nei servizi di informazione e comunicazione, il tasso medio di adozione era del 44% nel 2024, ma in Danimarca, Svezia e Finlandia oltre due terzi delle aziende Ict utilizzano già l’AI. Nei servizi professionali legati alla scienza e alla tecnologia (S&T), la media Ocse era del 26%, ma in Svezia ha superato il 53%. L’intelligenza artificiale è inoltre molto più diffusa tra le grandi imprese: il 39% delle grandi aziende nell’area Ocse la utilizza, contro appena il 12% delle piccole; in Finlandia la quota sale a oltre il 70%”.



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