In attesa che venga ufficializzata la lista dei prodotti esentati dai dazi che scatteranno il prossimo 7 agosto, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, l’applicazione dell’aliquota al 15 per cento decisa domenica scorsa in Scozia tra i presidenti Trump e von der Leyen dovrebbe causare all’Italia un danno, almeno nel breve termine, tra i 14/15 miliardi di euro all’anno. Un importo che, in linea di massima, corrisponde al costo che nei prossimi anni sosterrà il nostro bilancio statale per realizzare la più grande opera pubblica di sempre: vale a dire il ponte sullo Stretto di Messina.
Un danno, quello causato dalle politiche protezionistiche statunitensi, che, secondo la stima della CGIA, racchiude sia gli effetti diretti (mancate esportazioni), sia quelli indiretti (riduzione margine di profitto delle imprese che continueranno a vendere nel mercato USA, costo delle misure di sostegno al reddito degli addetti italiani che perderanno il posto di lavoro, trasferimento delle imprese o di una parte delle produzioni verso gli USA, il trade diversion1, etc.). Oltre a queste due fattispecie è stata tenuta in considerazione anche quella congiunturale (legata alla svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro2).
Fiduciosi sulla tenuta del “made in Italy”
Sebbene nel 2024 rispetto al 2023 ci sia stata una contrazione delle vendite verso gli USA del 3,6 per cento (in termini monetari pari a -2,4 miliardi di euro), l’Italia ha una forte vocazione all’export verso gli Stati Uniti (l’anno scorso la dimensione economica è stata pari a 64,7 miliardi). Tuttavia gli effetti dei dazi al 15 per cento, dovranno “misurarsi” anche con i seguenti interrogativi:
- i consumatori e le imprese statunitensi sostituiranno i beni finali e intermedi italiani con quelli autoctoni o di altri Paesi, oppure continueranno ad acquistare prodotti Made in Italy?
- a seguito delle nuove barriere doganali, le imprese esportatrici italiane riusciranno a non aumentare i prezzi di vendita negli USA, rinunciando a una parte dei margini di profitto?
Sono domande a cui non è per nulla facile dare risposte. Tuttavia, la Banca d’Italia ricorda che il 43 per cento delle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti sono costituite da prodotti di qualità alta e un altro 49 per cento di qualità media3: pertanto il 92 per cento delle nostre merci acquistate oltre Oceano sono di alta gamma. Sono prodotti che, verosimilmente, sono destinati a clienti (persone fisiche o imprese) a elevato reddito che potrebbero rimanere indifferenti a un aumento del prezzo causato dall’introduzione di nuove barriere doganali. In merito al secondo interrogativo, invece, i ricercatori di via Nazionale segnalano che il potenziale calo della domanda statunitense legato all’incremento dei prezzi dei prodotti finali potrebbe essere assorbito dalle nostre imprese attraverso una contrazione dei propri margini di profitto. A tal proposito va segnalato che le aziende italiane che esportano negli USA presentano una incidenza delle vendite in questo mercato “solo” del 5,5 per cento del fatturato totale, mentre il margine operativo lordo4 è mediamente pari al 10 per cento dei ricavi. In altre parole, sono poco esposte verso il mercato statunitense e una eventuale “chiusura” di questo mercato inciderebbe relativamente. Inoltre, queste realtà produttive hanno mediamente buoni margini per ridurre il prezzo finale dei propri beni da vendere negli States, compensando, almeno in parte, gli aumenti provocati dall’introduzione delle barriere doganali. Ovvio che potrebbero verificarsi delle situazioni molto più gravi di quelle appena descritte, se le politiche protezionistiche di Trump dovessero provocare un’ulteriore svalutazione del dollaro, innescando delle contromisure in grado di provocare una caduta della domanda globale e dei mercati finanziari.
1 In un mondo in cui una grande economia impone dazi quasi a tutti, gli altri esportatori di tutti i paesi colpiti cercheranno nuovi sbocchi per compensare le perdite subite sul mercato USA. Questo fenomeno è noto come deviazione del commercio (per l’appunto trade diversion).
2 Nei primi sette mesi del 2025 il deprezzamento è stato del 10,5 per cento.
3 Bollettino Economico, Numero 2/2025 Aprile.
4 È il valore della produzione al netto degli acquisti netti di materie prime, dei costi per servizi e godimento di beni terzi e del costo del lavoro, a cui va aggiunta la variazione delle scorte di materie prime.
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