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Dazi, subito danni per 2 milioni


Più di due milioni di euro di danni, nel breve periodo, per l’economia polesana a causa dell’entrata in vigore dei dazi al 15% negli Usa. A fare il calcolo delle conseguenze immediate per le imprese venete è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che, in attesa che venga ufficializzata la lista dei prodotti esentati dai dazi che scatteranno il prossimo 7 agosto, ha calcolato l’incidenza sull’export regionale dell’applicazione dell’aliquota al 15% decisa domenica scorsa in Scozia tra i presidenti Trump e von der Leyen. Ebbene, a conti fatti questa mossa dovrebbe procurare al Veneto un danno, immediato, attorno ai due miliardi di euro all’anno. E poiché l’export verso gli Usa del Polesine lo scorso anno ha rappresentato lo 0,11% delle esportazioni venete complessive, parliamo di una contrazione nell’ordine dei due milioni e 200mila euro.

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Un costo, quello causato dalle politiche protezionistiche statunitensi, che, secondo la stima della Cgia, racchiude sia gli effetti diretti (mancate esportazioni), sia quelli indiretti (riduzione margine di profitto delle imprese che continueranno a vendere nel mercato Usa, costo delle misure di sostegno al reddito degli addetti italiani che perderanno il posto di lavoro, trasferimento delle imprese o di una parte delle produzioni verso gli Usa, il trade diversion, eccetera). Oltre a queste due fattispecie è stata tenuta in considerazione anche quella congiunturale (legata alla svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro).

Sebbene nel 2024 rispetto al 2023 ci sia stata una contrazione delle vendite verso gli Usa dei prodotti veneti del 3,8% (in termini monetari pari a -291 milioni di euro), la nostra regione ha una forte vocazione all’export verso gli Stati Uniti (l’anno scorso la dimensione economica è stata pari a 7,3 miliardi). Tuttavia gli effetti dei dazi al 15%, dovranno “misurarsi” anche con i alcuni interrogativi. E’ la Cgia a dirlo: “I consumatori e le imprese statunitensi sostituiranno i beni finali e intermedi italiani con quelli autoctoni o di altri Paesi, oppure continueranno ad acquistare prodotti Made in Italy? A seguito delle nuove barriere doganali, le nostre imprese esportatrici riusciranno a non aumentare i prezzi di vendita negli Usa, rinunciando a parte dei margini di profitto? Sono domande – ammettono dall’Ufficio studi degli artigiani mestrini – a cui non è per nulla facile dare una risposta. Tuttavia, la Banca d’Italia ricorda che il 43% delle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti sono costituite da prodotti di qualità alta e un altro 49% di qualità media: pertanto il 92% delle nostre merci acquistati oltre Oceano sono di alta gamma”.

Insomma, si tratta di prodotti che, verosimilmente, sono destinati ad acquirenti (persone fisiche o imprese) ad elevato reddito che potrebbero rimanere indifferenti ad un aumento del prezzo causato dall’introduzione di nuove barriere doganali.

In merito al secondo interrogativo, invece, i ricercatori di via Nazionale segnalano che il potenziale calo della domanda statunitense legato all’incremento dei prezzi dei prodotti finali potrebbe essere assorbito dalle nostre imprese attraverso una contrazione dei propri margini di profitto.

A tal proposito va segnalato che le aziende italiane che esportano negli Usa presentano una incidenza delle vendite in questo mercato “solo” del 5,5% del fatturato totale, mentre il margine operativo lordo è mediamente pari al 10% dei ricavi. In altre parole, sono poco esposte verso il mercato statunitense ed una eventuale “chiusura” di questo mercato inciderebbe relativamente.

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Inoltre, queste realtà produttive hanno mediamente buoni margini per ridurre il prezzo finale dei propri beni da vendere negli States, compensando, almeno in parte, gli aumenti provocati dall’introduzione delle barriere doganali.





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