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I fondi col “nome giusto” crescono di più: ESG vale +8,9% di investimenti


L’uso strategico di termini ESG nei nomi dei fondi ha effetti concreti: +8,9% di flussi di capitale. Ma attenzione al greenwashing: l’ESMA stringe le maglie per garantire trasparenza e coerenza

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Negli ultimi anni, la sigla ESG – che sta per Environmental, Social e Governance – è diventata il passpartout per attrarre investimenti nel mondo della finanza sostenibile.

Ma cosa succede quando queste tre lettere, oltre a rappresentare una strategia d’investimento, vengono usate direttamente nel nome del fondo?

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Secondo un recente rapporto dell’ESMA, l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, succede qualcosa di molto concreto: i fondi che includono nel nome termini legati all’ESG ricevono, in media, l’8,9% in più di investimenti rispetto a quelli che non lo fanno.

Un dato che rivela tanto il crescente interesse degli investitori per la sostenibilità, quanto l’attenzione – e talvolta la cautela – dei regolatori. L’analisi, che ha preso in esame oltre 71.000 fondi europei tra il 2009 e il 2024, mostra una tendenza chiara: prima del 2015, meno del 3% dei fondi utilizzava terminologia ESG nei nomi. Oggi, quella percentuale è triplicata, arrivando al 9% nel secondo trimestre del 2024, con un picco del 15% tra i fondi UCITS, quelli regolamentati e accessibili al grande pubblico.

 Il potere delle parole ambientali

Non tutte le sigle, però, funzionano allo stesso modo. L’ESMA ha rilevato che sono soprattutto i termini legati all’ambiente – come “green”, “climate” o “impact” – ad attrarre capitali, con un aumento dei flussi di investimento pari al 16% rispetto ai fondi privi di tali riferimenti. Al contrario, i riferimenti sociali e di governance sembrano avere un effetto meno pronunciato. Anche il generico “sostenibile” ha perso terreno, in favore di un vocabolario più tecnico e standardizzato: dal 2021, oltre il 40% dei nuovi termini ESG aggiunti nei nomi è rappresentato proprio dalla sigla “ESG”.

 Boom, rallentamento e rischio greenwashing

Se tra il 2019 e il 2020 si è assistito a una corsa ad adottare questi termini – complice anche il regolamento SFDR sull’informativa di sostenibilità – a partire dal 2021 il trend ha rallentato. Il motivo? L’aumentata consapevolezza del rischio di greenwashing, ovvero l’uso di un linguaggio “verde” non supportato da strategie d’investimento coerenti.

Proprio per contrastare questo fenomeno, l’ESMA ha recentemente pubblicato delle linee guida che entreranno in vigore dal 21 maggio 2025. L’obiettivo è chiaro: fare in modo che ciò che viene promesso nel nome del fondo rifletta davvero ciò in cui si investe. Niente più “ESG” usato come slogan: servono dati, strategie trasparenti e rendicontazioni solide.

L’utilizzo di terminologia ESG nei nomi dei fondi è diventato un potente strumento di marketing finanziario. Ma con il potere arriva anche la responsabilità. Se da un lato è giusto che i fondi sostenibili vengano valorizzati, dall’altro è fondamentale garantire la trasparenza verso gli investitori. Perché – si sa – la fiducia è l’asset più prezioso.

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