Le recenti evoluzioni nelle relazioni commerciali tra Unione Europea e Stati Uniti, segnate dalla reintroduzione o minaccia di dazi su beni strategici, stanno riaccendendo il dibattito sul futuro del multilateralismo economico e sulla tenuta degli equilibri macroeconomici globali. Dopo anni di relativa distensione successivi all’era Trump, il ritorno a politiche commerciali selettivamente protezionistiche, anche sotto l’amministrazione Biden, segnala un cambiamento strutturale nel paradigma economico occidentale. Non si tratta più di semplici misure difensive, ma di un più ampio riposizionamento industriale e geopolitico, le cui conseguenze – positive e negative – saranno determinanti per la crescita europea nel medio-lungo termine.
Un nuovo ciclo di frizioni transatlantiche
Tra i dossier più caldi figura la disputa su dazi nel settore dell’acciaio e dell’alluminio, mai del tutto risolta. A ciò si aggiunge la questione dei sussidi verdi legati all’Inflation Reduction Act statunitense, che l’UE percepisce come una distorsione competitiva. Bruxelles, in risposta, ha ipotizzato misure speculari, tra cui una riforma del quadro temporaneo degli aiuti di Stato e la proposta di una “Buy European Act” per settori chiave.
Ma le tensioni si sono estese anche al settore agroalimentare (formaggi, vino, olio), alle tecnologie pulite e ai veicoli elettrici. Gli Stati Uniti accusano l’UE di barriere regolamentari non tariffarie, mentre l’Europa critica i dazi su prodotti finiti e la discriminazione di imprese europee nei crediti d’imposta USA.
Questo quadro di crescente attrito tra due storici alleati impone un’analisi accurata degli impatti macroeconomici a breve e lungo termine.
Opportunità: stimolo alla reindustrializzazione e all’autonomia strategica
Dal punto di vista europeo, la politica daziaria statunitense può costituire, paradossalmente, uno stimolo utile. In un contesto in cui la competitività industriale europea è sotto pressione (a causa di costi energetici, ritardi infrastrutturali e debolezze del mercato unico), l’inasprimento delle condizioni di accesso al mercato americano offre un’occasione per:
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Accelerare la reindustrializzazione nei settori a maggiore valore aggiunto, con politiche industriali orientate all’innovazione e alla sostenibilità.
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Rafforzare la resilienza delle catene del valore, soprattutto in comparti critici (batterie, semiconduttori, tecnologie verdi), tramite reshoring e diversificazione dei fornitori.
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Stimolare la domanda interna europea, riducendo la dipendenza da esportazioni verso mercati esterni, a fronte di politiche fiscali più flessibili nel quadro del Patto di Stabilità rivisto.
Inoltre, nel breve termine, le imprese esportatrici europee più colpite dai dazi potrebbero essere incentivate a localizzare parte della produzione negli USA, accedendo a incentivi e benefici fiscali, come già accaduto con case automobilistiche e aziende chimiche.
Le criticità: contrazione della crescita e perdita di efficienza allocativa
Tuttavia, sul piano macroeconomico, gli effetti potenzialmente recessivi prevalgono nel breve-medio periodo. I dazi, infatti, agiscono come una tassa sulle esportazioni, riducendo la competitività esterna delle imprese europee e comprimendo la domanda aggregata.
Secondo le stime della Commissione Europea, una guerra commerciale a pieno spettro con gli USA – con dazi generalizzati superiori al 10% – potrebbe ridurre il PIL dell’UE fino allo 0,4% annuo nel medio termine, con effetti più marcati nei paesi maggiormente esposti all’export manifatturiero (Germania, Italia, Paesi Bassi).
I dazi minacciano inoltre di generare distorsioni allocative nei flussi commerciali e negli investimenti. Le imprese potrebbero deviare risorse verso attività meno efficienti o produrre “dove conviene fiscalmente”, anziché dove è economicamente ottimale. Questo comporta un potenziale calo della produttività totale dei fattori, con effetti negativi sulla crescita potenziale.
Sul piano finanziario, l’instabilità commerciale accentua l’incertezza degli investitori internazionali, spingendo verso attività più sicure (safe assets), con possibili riflessi negativi su euro, spread sovrani e investimenti diretti esteri (FDI) in entrata nell’UE.
Rischi sistemici: escalation, ritorsioni, frammentazione globale
A livello sistemico, il rischio maggiore è che la dinamica daziaria inneschi un effetto domino. Se l’UE reagisce con misure analoghe, si apre un circolo vizioso di ritorsioni che può estendersi ad altri partner globali (Cina, Mercosur, Regno Unito), minando l’efficacia dell’OMC e l’ordine multilaterale.
Una frammentazione del commercio globale in blocchi economici e regolamentari potrebbe abbassare la crescita globale potenziale, aumentare l’inflazione strutturale e limitare i benefici dell’innovazione tecnologica transfrontaliera.
L’Europa, con la sua dipendenza dall’export (pari a circa il 47% del PIL nei paesi della zona euro), ha più da perdere che da guadagnare in un simile scenario. Anche per questo, le istituzioni europee devono bilanciare la legittima difesa commerciale con il mantenimento di un ordine aperto e cooperativo.
Conclusioni e raccomandazioni
La nuova stagione di dazi tra UE e USA va letta non come un episodio isolato, ma come parte di un più ampio riassetto geo-economico globale. La convergenza tra politica industriale, transizione ecologica e competizione strategica sta ridefinendo i parametri dell’economia internazionale.
Per l’Europa, le sfide sono molteplici, ma non insormontabili. Occorrono:
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una politica commerciale comune più assertiva ma pragmatica;
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un coordinamento fiscale e industriale rafforzato a livello UE;
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una maggiore sinergia tra strategia di competitività e politica estera economica;
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e soprattutto, un impegno a preservare l’apertura dei mercati, anche in presenza di misure difensive selettive.
In un mondo in cui l’economia torna a farsi politica, l’UE deve saper agire come un attore unitario, dotato di strumenti efficaci e visione strategica. Solo così potrà trasformare le tensioni daziarie da minaccia a leva per una nuova sovranità economica condivisa.
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