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Come è arrivata Coima a costruire mezza Milano


Tra i nomi delle persone coinvolte nelle inchieste sull’urbanistica a Milano – che puntano a dimostrare l’esistenza di un «sistema» di politici, imprenditori e tecnici che avrebbe favorito la speculazione edilizia – c’è quello di Manfredi Catella, presidente di Coima agli arresti domiciliari con le accuse di corruzione e induzione indebita a dare e promettere utilità. Coima è un grande gruppo immobiliare che negli ultimi due decenni ha condotto i più importanti progetti di riqualificazione e sviluppo a Milano, quelli che in città conoscono quasi tutti e che spesso sono noti anche a chi non ci abita. Sono progetti che hanno cambiato non solo i quartieri, ma l’intero skyline della città, cioè la forma che disegnano i suoi edifici se si guardano con il cielo sullo sfondo.

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È di Coima per esempio la riqualificazione dell’area di Porta Nuova, con la torre Unicredit, piazza Gae Aulenti e il Bosco Verticale, ma anche il progetto del nuovo palazzo della Fondazione Feltrinelli e la realizzazione di parte del Villaggio Olimpico per le Olimpiadi invernali del 2026. Era quindi probabile che in qualche modo venisse coinvolta dalla magistratura nelle grandi inchieste in corso, proprio per la sua centralità nell’urbanistica di Milano e proprio perché è stato anche il particolare contesto edilizio della città, al centro delle indagini, ad aver contribuito all’enorme crescita dell’azienda.

Coima – che sta per Consulenti Immobiliari Associati – fu fondata nel 1974 da Riccardo Catella, il padre di Manfredi. Catella aveva lavorato con il rinomato imprenditore Renzo Zingone, che negli anni Settanta diede il suo nome a uno dei primi grandi progetti di riqualificazione urbana della Lombardia, precursore della più fortunata Milano 2: Zingonia, oggi un piccolo centro abitato a sud di Bergamo che non fa neanche comune, ma che nelle ambizioni doveva diventare una cittadina per imprese e lavoratori.

Quell’esperienza fu comunque molto preziosa per Catella, che fino alla fine degli anni Ottanta seguì progetti commerciali e residenziali proprio a Zingonia. Dagli anni Novanta iniziò però a muoversi verso Milano, già in forte espansione ma ancora molto, molto indietro rispetto al dirompente sviluppo delle capitali europee.

Riccardo Catella fu uno dei primi a introdurre in Italia un modello di sviluppo immobiliare che allora era usato solo all’estero, un’intuizione che si sarebbe rivelata poi decisiva per il successo di Coima. Il modello era quello per cui l’azienda funge da intermediario per interi progetti immobiliari, dall’acquisto dei terreni alla progettazione, dalla costruzione fino alla vendita di complessi già redditizi per l’acquirente. I palazzi vengono consegnati con i contratti d’affitto già stipulati, per cui all’acquirente viene di fatto venduta una rendita pronta; oppure sono già pronti da rivendere sul mercato.

Servono ovviamente grandi capitali per tenere tutto insieme, e per questo alla base del modello c’era una forte interazione tra fondi di investimento e Coima. Oggi Coima è una SGR, una Società di Gestione del Risparmio che raccoglie soldi dagli investitori istituzionali – quindi banche e società di investimento – e li investe nello sviluppo di progetti immobiliari per loro conto e per garantire loro un profitto. È un modello che ora è molto diffuso, ma che ai tempi in Italia non seguiva quasi nessuno: Coima e il suo modello furono anche una delle ragioni per cui gli investitori stranieri cominciarono a interessarsi a Milano.

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La svolta per l’azienda fu quando Riccardo Catella conobbe l’immobiliarista americano Gerald Hines, con cui alla fine degli anni Novanta strinse una collaborazione per la riqualificazione di un complesso per uffici in viale Eginardo (a nord-ovest della città): fu l’inizio di un rapporto tra Coima e il gruppo Hines che dura tuttora.

Manfredi Catella, al centro, e a destra il sindaco di Milano Beppe Sala (Carlo Cozzoli / LaPresse)

A metà del 2004 Riccardo Catella si ammalò e morì dopo qualche mese, così nel 2005 la gestione passò al figlio Manfredi, che lavorava già nell’azienda di famiglia. Erano anni cruciali: nel frattempo infatti Coima, sempre in collaborazione con Hines, si era aggiudicata il progetto per la riqualificazione del quartiere di Porta Nuova.

Porta Nuova è l’area tra la stazione di Porta Garibaldi e Repubblica, e la sua riqualificazione era un progetto molto ambizioso: bisognava dare una destinazione a una sorta di vuoto urbano in un’area ampia oltre 300mila metri quadrati e circondata da quartieri già sviluppati, come Garibaldi, Brera e soprattutto Isola, una zona oltre la ferrovia oggi molto frequentata e ben collegata, ma a cui all’epoca mancava un accesso diretto alle aree più centrali.

La riqualificazione non serviva quindi a rendere solo bella una zona che non lo era, ma aveva lo scopo molto concreto di connettere parti della città fino ad allora divise. Era un progetto molto ambizioso soprattutto per una società che all’epoca era piccola e forse non del tutto pronta a un’impresa del genere: lo stesso Manfredi Catella ha raccontato (in un libro su Coima) che in ufficio lavoravano «non più di una quindicina di persone». Tutto si concluse nel 2015, l’anno di Expo: Catella ha parlato di «undici anni vissuti in apnea».

In corsa il progetto di Porta Nuova ebbe diversi ostacoli, finanziari e legati ai tempi, ma alla fine è considerato molto riuscito dal punto di vista urbanistico. «Ha ridato fiato a un pezzo di città che altrimenti era tagliato fuori dai binari della ferrovia e dalle sconnessioni che c’erano» dice Marco Biraghi, docente di storia dell’architettura al Politecnico di Milano. Conta in tutto venti edifici, tra grattacieli e palazzi, in cui ci sono uffici, appartamenti e un centro culturale. Tra questi c’è anche il palazzo dove ha sede Coima.

Oggi i dipendenti dell’azienda sono 340, di progetti a Milano ne hanno decine, e nel frattempo Coima è diventato un gruppo: sotto ci sono Coima SGR, che gestisce circa 30 fondi di investimento per un totale di 10 miliardi di euro; Coima REM, che si occupa della progettazione e lo sviluppo; Coima HT, che sviluppa tutta la parte digitale dei progetti; e Coima Image, che lavora sui servizi di progettazione architettonica e interior design.

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La Biblioteca degli Alberi (BAM, il parco adiacente a piazza Gae Aulenti), la torre Unicredit a sinistra e il Bosco Verticale a destra, i due edifici più noti di Porta Nuova (Stefano Porta/LaPresse)

Quello di Porta Nuova per Coima è stato il progetto che ha cambiato le cose. Biraghi l’ha definito «furbo», non solo perché Coima puntò su un’area ancora periferica e in quel momento con poche attenzioni, ma anche perché coinvolse un noto architetto che inizialmente era stato molto contrario ai piani di Coima: Stefano Boeri, a cui fu affidata l’ideazione del Bosco Verticale, il famoso grattacielo terrazzato con aree verdi che ha rappresentato un punto di incontro tra i costruttori e i comitati civici che non volevano l’edificazione della zona. Una sorta di «grattacielo buono», come l’ha definito Biraghi.

In questa decisione si trova proprio un elemento del successo imprenditoriale di Coima: il sapersi muovere sul territorio e la capacità di costruire relazioni con i soggetti interessati, tra cui inevitabilmente anche la politica locale. Secondo Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano, proprio la politica locale avrebbe subìto una sorta di «seduzione» dal modello e dalle capacità di Coima, in un momento molto particolare per la città: c’era da fare Expo, tutto era in ritardo, e fu visto come una salvezza il fatto che ci fosse un’azienda in grado di portare avanti tutti quei progetti.

Dopo Porta Nuova l’amministrazione locale le garantì un grado di autonomia che nessun’altra città europea ha mai dato a un privato. Granata sostiene quindi che il contesto milanese è sempre da tenere a mente quando si parla del successo di Coima: «È facile essere i migliori quando ci sono pochi concorrenti e quando il sistema è debole».

Sede di Coima in Piazza Gae Aulenti, a Milano (Claudio Furlan/Lapresse)

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Secondo Granata, Coima avrebbe quindi beneficiato di un vantaggio competitivo notevole, a partire dalla decurtazione degli oneri di urbanizzazione su diversi progetti. Sono i contributi che i costruttori versano al comune per compensare l’impatto delle nuove costruzioni: per esempio per l’aggiustamento della viabilità intorno a un nuovo grattacielo, o per aggiungere nuovi servizi in previsione del fatto che in quella zona abiteranno più persone. Gli sconti sugli oneri di urbanizzazione sono uno degli elementi delle inchieste su Milano, ma non ne ha beneficiato solo Coima: tutto il sistema delle autorizzazioni edilizie funzionava così.

Inevitabilmente Coima ha finito però per diventare l’azienda simbolo dei lati negativi del grande slancio immobiliare della città: cioè dell’insostenibilità dei costi delle case, degli affitti, di tutto. Secondo Granata e altri urbanisti i progetti di Coima e il modello di sviluppo di Milano starebbero creando una «città privata» nello spazio pubblico, con l’obiettivo di massimizzare il profitto e secondo una logica strettamente finanziaria: Granata dice che «non è un problema di per sé», ma lo è il fatto che l’amministrazione non abbia posto vincoli adeguati, in un momento in cui non era attrezzata a una crescita così rapida.

Una protesta sotto la sede di Coima in Porta Nuova, a giugno (Claudio Furlan/Lapresse)

Manfredi Catella è uno dei nomi più di rilievo tra gli indagati, insieme al sindaco di Milano Beppe Sala e all’ex assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi: come detto è ora agli arresti domiciliari.

Secondo la procura Coima avrebbe assegnato incarichi retribuiti sospetti all’architetto Alessandro Scandurra, anche lui indagato e ai domiciliari in quanto ex componente della commissione per il paesaggio, l’organo comunale tecnico che si occupa di valutare e di fatto approvare i progetti edilizi o urbanistici e il loro impatto sulla città. L’accusa sostiene che Coima glieli abbia assegnati per ottenere in cambio pareri positivi in commissione. Per una consulenza in particolare, quella sul Villaggio Olimpico, Coima ha pagato Scandurra oltre 138mila euro.

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