Secondo una ricerca della Fabi (Federazione autonoma bancari italiani), nel 2024 le banche italiane hanno registrato un nuovo massimo di utile netto, con un totale di 46,5 miliardi di euro, in crescita di 5,7 miliardi (+14%) rispetto al 2023. Ma c’è da rivedere il costo del credito per le Piccole e medie imprese. L’opinione di Riccardo Pedrizzi
08/08/2025
Il sistema bancario italiano si è significativamente rafforzato negli ultimi dieci anni attraversando le diverse crisi (sanitaria, geopolitica, energetica). I principali indicatori prudenziali e di bilancio delle banche italiane sono oggi in linea, se non migliori, della media europea così come gli indicatori di mercato, come il rapporto tra il valore di mercato e quello contabile.
Infatti, secondo una ricerca della Fabi (Federazione autonoma bancari italiani), nel 2024 le banche italiane hanno registrato un nuovo massimo di utile netto, con un totale di 46,5 miliardi di euro, in crescita di 5,7 miliardi (+14%) rispetto al 2023.
L’ultimo triennio è stato eccezionale per la redditività bancaria che a partire dalla metà del 2022 ha fatto profitti, in particolare, da intermediazione creditizia sui prestiti a famiglie e imprese. Il 2022, anno in cui l’utile netto è stato di 25,5 miliardi di euro, ha portato la somma degli utili realizzati nel triennio 2022-2024 a oltre 112 miliardi, evidenziando un triennio eccezionale spinto dagli alti tassi d’interesse decisi dalla Banca Centrale Europea. Dopo una fase tra il 2018 e il 2021 segnata da utili oscillanti tra i 15 e i 16 miliardi, anche a causa della crisi pandemica nel 2020, l’utile netto ha cominciato a crescere in modo consistente da 25,5 miliardi nel 2022 a oltre 40,7 miliardi nel 2023, fino ai 46,5 miliardi del 2024. Lo scorso anno i ricavi dell’intero settore hanno toccato quota 110,1 miliardi, con una crescita del 7,2% rispetto al 2023 con un balzo del 33,8% sul 2018.
Il credito, tornato protagonista dopo il lungo ciclo dei tassi a zero, rappresenta ora il 58,5% dei ricavi totali, consolidando il controsorpasso sulle commissioni che per tre anni – dal 2019 al 2021 – avevano dominato la composizione del fatturato bancario.
Alla luce di questo trend, ha commentato Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle Finanze alla recente assemblea dell’Abi: “Bisogna constatare che il rafforzamento in termini organizzativi, reddituali e patrimoniali delle banche italiane degli ultimi 15 anni non si è sempre tradotto in condizioni più favorevoli al credito ma, al contrario, in una riduzione delle erogazioni alle imprese. Dal 2011 i prestiti alle aziende, in termini nominali, si sono ridotti di un terzo”, ha proseguito il ministro e ha invitato gli istituti di credito, “a tornare a fare banca perché l’economia non cresce grazie al risparmio in sé, ma quando questo è raccolto per essere prestato e investito”, sottolineando che “la stabilità dell’esecutivo, rafforzata dal supporto di cui gode il governo a quasi 3 anni dal suo insediamento, rappresenta un fattore immateriale di cui in ultima istanza beneficia il sistema finanziario nazionale”.
A questa presa di posizione ha dato conforto nei giorni scorsi il Centro Studi di Unimpresa che, partendo dalla storia della politica monetaria delle banche centrali (che evidenzia che da maggio 2024 a maggio 2025 la Bce ha ridotto il proprio tasso di riferimento di 250 punti base, scendendo dal 4,50% al 2,00%; una diminuzione costante, con tagli concentrati nella seconda metà del 2024 e nei primi mesi del 2025: un’inversione netta rispetto alla precedente fase restrittiva avviata nel 2022), ha esaminato l’andamento dei tassi bancari applicati alle aziende italiane, constatando che, “i tassi praticati dalle banche italiane non hanno seguito lo stesso ritmo. Per i prestiti fino a 1 milione di euro, il tasso medio è calato dal 5,91% (maggio 2024) al 4,43% (maggio 2025), con una riduzione di 148 punti base. Per i finanziamenti superiori al milione, la discesa è stata leggermente più marcata: dal 5,49% al 3,50%, pari a un calo di 199 punti base nello stesso intervallo temporale”.
Quindi “la discesa dei tassi della Banca centrale europea non si traduce in eguali benefici per tutte le imprese italiane. Il costo del credito continua a premiare le grandi aziende, lasciando invece le piccole e medie imprese alle prese con condizioni più onerose. Tra maggio 2024 e maggio 2025, la Bce ha tagliato il proprio tasso di riferimento di 250 punti base, dal 4,50% al 2,00%, ma i tassi bancari per le Pmi sono scesi solo di 148 punti base, dal 5,91% al 4,43%, contro una riduzione più marcata di 199 punti base per i prestiti sopra il milione di euro”. “A pesare – secondo l’analisi – sono fattori come la prudenza sul rischio, la scarsa concorrenza sui piccoli importi e una politica creditizia che mantiene margini elevati proprio dove la clientela ha meno potere negoziale. È un credito a doppia velocità che penalizza proprio la base produttiva del Paese, costituita da imprese che non hanno accesso a canali alternativi di finanziamento”.
“Il risultato è che le imprese di dimensione più contenuta – che rappresentano la spina dorsale del sistema produttivo nazionale – continuano a sopportare costi del credito nettamente più elevati, anche in un contesto che, teoricamente, dovrebbe essere più favorevole”.
Lo stesso Stefano Cappiello, dirigente generale della Direzione regolamentazione e vigilanza del sistema finanziario al Dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia e delle finanze, nell’Audizione al Senato ha dovuto ammettere che “quanto alle imprese, si è registrata invece ancora una contrazione in febbraio, su base annua”, e che “non si escludono tuttavia criticità dal lato dell’offerta di credito, specie per le imprese più piccole, che possono essere considerate meno trasparenti e percepite come più rischiose”, suggerendo di “riflettere sia sull’esigenza di promuovere la crescita dimensionale delle imprese italiane sia sull’importanza di premiare la ‘biodiversità’ del sistema bancario”, articolandolo in grandi banche e banche di territorio popolari e di credito cooperativo.
Alla luce di questo scenario ben si può comprendere che il vicepremier Matteo Salvini abbia annunciato: “Stiamo ragionando non su una tassa ma su un contributo volontario e spontaneo delle banche da ridistribuire ai lavoratori italiani e agli imprenditori”.
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