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Ponte dello Stretto, tra sogni di rilancio e timori di cattedrale nel deserto


La discussione sulla realizzazione del collegamento stabile tra Calabria e Sicilia riprende vigore dopo il via libera del CIPES. Da entrambe le sponde dello Stretto arrivano entusiasmi, obiezioni e timori che, intrecciandosi, disegnano un quadro complesso fatto di orgoglio regionale, interessi economici e desiderio di normalità infrastrutturale.

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Un cantiere di opinioni contrastanti

Il progetto definitivo del ponte divide profondamente l’opinione pubblica di due regioni che, pur condividendo storia e tradizioni, percepiscono diversamente un’opera capace di cambiare la geografia dei trasporti. L’approvazione governativa ha acceso un confronto serrato: c’è chi intravede un volano di sviluppo in grado di ridurre file infinite ai traghetti e chi teme l’ennesimo annuncio privo di ricadute reali. Non è soltanto questione di costi o di bellezza del paesaggio, ma di futuro quotidiano: strade dissestate, reti idriche precarie e ferrovie lente rimangono problemi urgenti che, secondo molti, dovrebbero precedere qualunque impresa titanica sospesa tra due coste.

Se i sostenitori evocano evoluzione tecnologica, orgoglio meridionale e nuove opportunità turistiche, gli scettici ribattono con l’elenco di priorità inevase che soffocano la vita di comunità già provate dallo spopolamento. In questo conflitto di visioni si inseriscono le parole di cuochi, attori, scrittori e imprenditori, testimonianze che rivelano quanto la questione travalichi l’ingegneria per toccare sentimenti identitari. L’opera, insomma, è diventata lente d’ingrandimento di problemi antichi e di speranze mai sopite.

I sostenitori: progresso, simbolo e un’arancina come pedaggio

Lo chef palermitano Filippo La Mantia trasforma la sua esperienza di viaggiatore seriale in un argomento a favore: code chilometriche, caldo d’agosto e traghetti stipati hanno inciso nel tempo libero di chi, come lui, ha attraversato lo Stretto centinaia di volte. Per alleggerire la questione, propone un’idea che mescola ironia e tradizione: «Sul traghetto l’arancina è un rito, quasi un ticket obbligatorio. Anche sul futuro ponte immagino un simbolico “Telepass” gastronomico: mangiare un’arancina per entrare o uscire dalla Sicilia». Dietro il sorriso, lo chef vede nel ponte un modo per accorciare realmente distanze che pesano su economia, turismo e qualità della vita di migliaia di pendolari.

All’entusiasmo culinario si affianca quello di Santo Versace, reggino d’origine e imprenditore di fama internazionale. Il fratello maggiore di Gianni e Donatella immagina già se stesso, alla guida di una decappottabile, mentre percorre l’impalcato sospeso fra le due coste: «Compio ottant’anni e sogno di attraversare lo Stretto con la mia patente ancora valida». Anche il regista e produttore Massimo Romeo Piparo, nato a Messina ma residente a Roma, vede nella struttura un trampolino verso altre opere: aeroporti efficienti, linee ad alta velocità, connessioni che avvicinino realmente le città del Sud. Per questi sostenitori il ponte non è traguardo, bensì tappa di un percorso di modernizzazione non più rinviabile.

Il sì condizionato: speranze e pretese di rinascita

L’attrice messinese Maria Grazia Cucinotta accoglie l’idea con entusiasmo prudente: «Il ponte deve essere punto di partenza». Nelle sue parole convivono orgoglio e frustrazione: dall’acqua che manca in alcune isole alla lentezza dei treni, la Sicilia appare ingabbiata in problemi che rievocano un passato remoto. «Finché non lo vedo, non ci credo», confessa, ricordando come il progetto sia stato presentato a generazioni di siciliani senza mai concretizzarsi. Il suo sì è legato a un impegno complessivo: non basta un’arcata d’acciaio se le reti idriche perdono litri preziosi e le strade restano impraticabili.

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Nella sua riflessione affiora la memoria del film «Il Postino», girato trentuno anni fa ma ambientato a metà Novecento, quando alcune isole non avevano acqua corrente. «È ancora così», denuncia l’attrice, convinta che la Sicilia potrebbe trattenere i propri giovani se avesse servizi all’altezza del resto d’Italia. Da qui l’appello: sì a tutto ciò che porti benessere, ma senza trasformare l’opera in un’altra promessa infranta.

Il fronte del no: voci di preoccupazione e allarmi tecnici

Sul versante opposto, la scrittrice trapanese Stefania Auci non concede attenuanti: definisce il ponte «una grandissima idiozia» e deplora l’assenza di dialogo con le comunità di Messina e Reggio Calabria, che a suo dire in larga parte resteranno penalizzate. La sua critica tocca punti precisi: piani viari inesistenti, raffiche di vento insidiose in quota, rischio sismico elevato. Una cattedrale nel deserto, costruita in un territorio con reti ferroviarie tanto obsolete da richiedere undici ore per un Trapani-Ragusa. Per l’autrice dei Florio, destinare risorse a un’impresa di tale portata significa distogliere fondi vitali da interventi quotidiani su trasporti e approvvigionamento idrico, esponendo lo Stato a debiti difficilmente sostenibili.

Un’analoga preoccupazione guida la scrittrice calabrese Rosella Postorino, che richiama l’unicità ambientale dello Stretto: «È uno dei luoghi più belli del mondo, dovere di tutti tutelarlo». Ricordando pareri di esperti sui venti, sulla sismicità dell’area e sull’impatto ambientale, la scrittrice teme uno scempio irreversibile a fronte di benefici economici non certi. Preservare un patrimonio naturalistico, aggiunge, vale più di qualunque scorciatoia stradale. Le sue parole si sommano a quelle di chi sottolinea che la maggior parte delle merci arriva comunque via mare e che i problemi di collegamento interno resteranno irrisolti anche con un nastro d’asfalto sopra lo Stretto.

Quello che resta sul tavolo: tra pragmatismo e identità

Fra entusiasmi e timori, in molti chiedono che la discussione non si fermi al ponte, ma abbracci un piano di sviluppo organico. Investire su ferrovie, porti, reti idriche e digitali è, per diversi interlocutori, l’unico modo per evitare che l’opera diventi simbolo di squilibri anziché di rinascita. Il valore identitario dello Stretto resta centrale: collegarlo significa riscrivere un pezzo di immaginario collettivo che ha plasmato canzoni, letteratura e cinema. Nessuno, neppure i più convinti oppositori, nega il fascino di attraversare quel braccio di mare; il vero nodo è come farlo senza perdere di vista le priorità quotidiane delle comunità coinvolte.

In questo clima oscillante tra entusiasmo e scetticismo, anche la satira trova spazio: la Gialappa’s Band scherza sul «sogno dell’ingegner Cane», ricordando la distanza fra annunci e realtà. L’ironia evidenzia una verità di fondo: l’Italia ha spesso celebrato cantieri annunciati più che opere completate. Che il ponte diventi o meno realtà, la lezione sembra chiara: senza trasparenza, partecipazione e programmazione condivisa, nessun viadotto potrà colmare la distanza, materiale e culturale, che separa promesse e vita di tutti i giorni.



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