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Svalutazione del dollaro rischia di essere vero incubo dopo i dazi


Il dollaro perde in media il 9,5% dall’inizio dell’anno contro le altre valute mondiali e potrebbe essere ancora poco se ci fosse in arrivo una vera e propria svalutazione del cambio. E’ arrivata la notizia che il presidente americano Donald Trump ha nominato Stephen Miran come componente del consiglio dei governatori nella Federal Reserve. Prenderà il posto di Adriana Kugler, che si è dimessa con sei mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale del suo mandato.

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L’idea di ristrutturazione del debito USA

Miran è attualmente a capo del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca. Suo è il libro pubblicato nel novembre scorso dal titolo eloquente “A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System” (Guida per la ristrutturazione del sistema commerciale globale).

  In esso abbozza i contenuti della politica economica a cui fa riferimento l’amministrazione Trump già dal suo insediamento di gennaio. L’uomo sostiene che serva la svalutazione del dollaro per impedire al cambio di restare iper-apprezzato a causa dello status di valuta di riserva mondiale.

Un’operazione del genere, tuttavia, comporta il rischio di una fuga dei capitali dagli Stati Uniti con la crisi dei Treasury, i titoli del debito americano. E’ qui che il pensiero di Miran raggiunge l’apice della spregiudicatezza: concordare con le principali potenze una ristrutturazione del debito. Come? Costringendoli a vendere Treasury a prezzi non di mercato, in modo da tenere bassi i rendimenti. Inoltre, dovrebbero scambiare parte dei titoli posseduti con altri dalle scadenze lunghissime (tipo 100 anni). Si tratterebbe a tutti gli effetti di un’azione coercitiva, che formalmente rientrerebbe sotto la denominazione di default.

Miran possibile successore di Powell

La svalutazione del dollaro per rilanciare la competitività delle imprese americane avverrebbe tagliando i tassi di interesse. Ed è su questo aspetto che Miran potrà sin dalle prossime settimane influenzare la FED dalla posizione di governatore. Il suo voto non basterà da solo per la svolta, ma se avesse successo non è escluso che l’anno prossimo sarà nominato al posto di Jerome Powell. Il mandato del numero uno di Atlanta scadrà in primavera e la ricerca del successore è già iniziata. Egli è accusato da Trump in persona di tenere i tassi alti e soffocare così l’economia americana.

Se i dazi ci sono sembrati un incubo, la svalutazione del dollaro sarebbe un incubo al cubo. Accentuerebbe la perdita della competitività per le nostre imprese. Un euro più forte contro il biglietto verde renderebbe ancora più care le nostre esportazioni. E già quest’anno si è rafforzato fino al 13%, mentre i dazi sono in media triplicati al 15%.

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Svalutazione del dollaro limitata dall’inflazione

Il limite a questo scenario è dato dall’inflazione americana. Già al 2,7% a giugno, se continuasse a salire tra dazi e cambio debole, impedirebbe alla FED di tagliare i tassi. Per ciò stesso la svalutazione del dollaro verrebbe meno. Ma con Miran eventualmente alla guida dell’istituto cambierebbe lo stesso paradigma su il suo statuto si regge: non più la stabilità dei prezzi quale obiettivo principale, pur compatibile con lo stato di salute dell’economia americana, quanto la crescita di quest’ultima ad ogni costo.

Allacciamo le cinture, perché dall’autunno potremmo vederne di peggio di quanto finora con i dazi.

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