Alla ripresa di settembre si parlerà di manovra di bilancio 2026 e di salario minimo. Ma quale fondamento ha la teoria per cui l’abolizione del Rdc (e la sua sostituzione con altri strumenti) ha causato una scossa nel mercato del lavoro? Il XXIV Rapporto Inps si è cimentato in una verifica
Alla ripresa, il mondo della politica sposterà le antenne sulla manovra di bilancio 2026. Cominceranno a circolare proposte da includere nel disegno di legge. Il più delle volte saranno ballons d’essai messi in circolazione “per vedere di nascosto l’effetto che fa”; ma prima o poi occorrerà fare sul serio cominciando a stabilire l’ammontare della manovra almeno per grandi aggregati riguardanti in particolare le spese e le relative coperture finanziarie.
Quest’anno il percorso è reso più problematico per via dei dazi, dall’assetto dei quali (non ancora definito) potrebbe derivare l’esigenza di sostenere alcuni settori produttivi che risultino particolarmente svantaggiati dalle politiche commerciali imposte da Trump. Vi sono comunque delle precise scadenze: una volta compiuti gli adempimenti preliminari (Def, nota propedeutica, ecc.) il primo appuntamento sarà con la Commissione europea. Il 15 ottobre deve essere inviato il testo della legge di Bilancio all’Ue a Bruxelles con l’indicazione degli obiettivi da perseguire nel 2026, delle relative misure da adottare nonché della quantificazione delle risorse da impegnare. L’Ue ha tempo fino al 30 novembre per esprimere un primo parere e fino alla primavera per dare il parere definitivo.
Entro il 20 ottobre il governo presenterà ufficialmente in Parlamento il testo del disegno di legge di bilancio contenente la manovra, che dovrà essere approvato entro il 31 dicembre. Se il governo dovrà far quadrare molti conti, le opposizioni metteranno in campo le loro idee. La Cgil dal canto suo ha già predisposto un programma di mobilitazione che terminerà certamente con il solito sciopero generale; intanto è già prevista una manifestazione nazionale per metà ottobre a sostegno di una piattaforma “fuori mercato” come quelle a cui Maurizio Landini ci ha abituati lungo i paracarri della sua “via maestra”.
Di certo si tornerà a parlare di salario minimo, un tema che ha soppiantato la problematica del reddito di cittadinanza, la cui abrogazione non ha dato luogo a quelle proteste sociali che erano state prefigurate. Tuttavia il RdC si prende una piccola vendetta perché il M5S ne impone una vaga parentela nei programmi elettorali delle coalizioni di cui fa parte nelle prossime consultazioni regionali. Anzi, il governo e la maggioranza attribuiscono alla trasformazione di quella misura l’indubbio risultato positivo che si riscontra sul terreno dell’occupazione sul piano qualitativo e quantitativo. La tabella che segue è molto indicativa di quanto avvenuto negli ultimi vent’anni soprattutto se si mette in relazione la diminuzione di un milione di unità della popolazione tra 15 e 64 anni (in età di lavoro) con l’incremento degli occupati alla dipendenza non solo in percentuale ma in cifra assoluta. L’incremento in percentuale infatti potrebbe essere determinato da una riduzione del denominatore per effetti demografici. L’incremento in cifra assoluta è la prova che gli occupati in più sono effettivi. La stessa considerazione può essere fatta nel caso dei contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a termine nonché del tasso di disoccupazione.
Ma ha un qualche fondamento la teoria per cui l’abolizione di una misura prettamente assistenziale come il RdC e la sua sostituzione con strumenti di politiche attive hanno determinato una scossa nel mercato del lavoro che ha indotto tante persone ad alzarsi dal divano e a cercare un lavoro? Tale valutazione potrebbe essere suffragata anche dal dato che ha visto negli ultimi anni una dinamica più attiva dell’occupazione al Sud rispetto al resto del Paese. L’Inps nel suo XXIV Rapporto del luglio scorso si è cimentato con una verifica in materia.
Dall’entrata in vigore della prestazione (gennaio 2024) e fino al mese di marzo 2025, il numero dei nuclei che hanno percepito almeno una mensilità di Adi è stato pari a 808 mila (1,94 milioni le persone coinvolte) e l’importo medio mensile è stato pari a 638 euro (tabella 2.16); la spesa complessiva del periodo è stata pari a 5,8 miliardi di euro. I nuclei beneficiari, con riferimento all’intero periodo considerato, si sono concentrati maggiormente nelle regioni del Sud e nelle Isole, raggiungendo il 68% del totale; seguono le regioni del Nord con oltre il 19% ed infine quelle del Centro. Il numero medio di componenti familiari per nucleo risulta pari 2,4 persone, con un picco nel meridione, dove il valore è pari a 2,6; per contro, il numero medio di persone nel nucleo risulta di gran lunga inferiore nelle regioni settentrionali dove è pari a 2. Di conseguenza, se nelle regioni del Sud e nelle Isole si concentra il 68% dei nuclei, l’incidenza sale al 73% in termini di persone coinvolte.
Quanto al Supporto alla formazione e lavoro (Sfl) la misura di cui possono avvalersi coloro che non rientrano nei criteri di ammissibilità all’Adi e che è concessa a seguito della partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro comunque denominate, a seguito della stipulazione del patto di servizio attraverso la piattaforma del Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (Siisl), il beneficio economico, quale indennità di partecipazione alle misure di attivazione lavorativa è pari a un importo mensile, a decorrere dal mese di gennaio 2025, di 500 euro; fino a dicembre 2024 l’importo è stato pari a 350 euro mensili.
Analizzando la serie storica mensile del numero di beneficiari della prestazione dal mese di prima erogazione (settembre 2023) fino a marzo 2025 (dato ultimo disponibile), si evidenzia un andamento crescente nel corso dell’anno 2024, con un massimo di 72 mila beneficiari nel mese di ottobre, valori comunque largamente al di sotto di quelli attesi. Il 59% è donna. Tutto ciò premesso, il Rapporto si cimenta sugli effetti della transizione da RdC ad Adi e Sfl sugli esiti occupazionali dei beneficiari.
L’analisi degli esiti occupazionali (riportata nella tabella 2.29), evidenzia un miglioramento significativo della quota di occupati tra i percettori di RdC dopo la cessazione del programma. La quota degli occupati passa, infatti, dal 14% nel dicembre 2022 al 18% nel 2023, fino ad attestarsi al 23% a dicembre del 2024. Per comprendere se questo aumento dell’occupazione ha riguardato tipologie specifiche di nuclei, l’Inps ha suddiviso i percettori per presenza di minori nel nucleo familiare, una delle condizioni dirimenti per la sospensione del RdC entro 7 mesi (ovvero a partire dal 1° agosto 2023 per chi fosse ancora percettore a gennaio 2023 e potenzialmente percettore del beneficio per tutto l’anno). La quota di occupati tra i percettori di RdC senza minori era pari al 15%, corrispondente a circa 89.021 occupati su un totale di 604.251 percettori.
Nel corso del 2023 si è osservato un incremento della quota di occupati, che ha raggiunto il 18% a dicembre 2023, per un totale di circa 109.930 occupati. Questa tendenza positiva è proseguita nel 2024, quando la quota di occupati tra i percettori senza minori è salita al 23%, con circa 138.091 individui occupati. Un andamento simile si registra tra i percettori di RdC con minori. La quota di occupati è passata dal 14% di dicembre 2022 al 19% di dicembre 2023, per poi raggiungere il 23% a dicembre 2024. Questo implica un incremento complessivo di circa 9 punti percentuali rispetto al 2022 per entrambe le tipologie di nuclei (+8,1% per i nuclei senza minori e +9,5% per i nuclei con minori), a testimonianza di una maggiore partecipazione al mercato del lavoro da parte di entrambe le categorie.
Tra i beneficiari di Adi, la crescita è stata più contenuta: la quota di occupati è passata dall’8% di dicembre 2022 al 10% di dicembre 2023, per poi raggiungere il 14% nel 2024. Il numero di occupati è salito da 32.379 a 52.014 individui. Infine, tra i percettori di Sfl, la quota di occupati è aumentata dal 7% di dicembre 2022 all’8% di dicembre 2023, per poi raggiungere il 15% a dicembre 2024. Il numero di occupati è passato da 5.153 a 11.307. Nel complesso, l’aumento percentuale di occupazione dal 2022 è stato più alto per coloro che nel 2024 non hanno fatto domanda di Adi o di Sfl (+11%), probabilmente a causa del relativo vantaggio di questi in termini economici e di attaccamento al mercato del lavoro (che non avrebbe consentito l’accesso alla misura per superamento dei requisiti soglia) e leggermente inferiore per coloro che, pur avendo presentato la domanda, non hanno avuto accesso alle misure (+9%). Più modesti sono stati, invece, gli incrementi occupazionali di coloro che nel 2024 sono stati percettori di Adi (+5%) e Sfl (+8%).
Per concludere, il XXIV Rapporto assume un profilo salomonico. Ferme restando le evidenze descritte risulta difficile, secondo l’Inps, affermare che l’aumento degli occupati osservato, specialmente tra il 2023 e il 2024, sia attribuibile alla sospensione del RdC e alla sua sostituzione con le nuove misure dell’Adi e del Sfl, oppure se tale incremento debba essere interpretato nel contesto più ampio dell’andamento del ciclo economico italiano. I dati trimestrali Istat sull’occupazione nazionale evidenziano, infatti, una traiettoria ascendente nel numero di occupati a partire dal 2021, con un’intensificazione nel biennio 2023-2024. È plausibile, però, che la favorevole congiuntura economica abbia facilitato l’inserimento lavorativo degli ex percettori del RdC.
Parallelamente, è ipotizzabile che, soprattutto per i soggetti appartenenti a nuclei privi di minori, si sia verificato un rafforzamento degli incentivi alla ricerca attiva di occupazione, considerato che il sostegno economico ottenibile attraverso il Sfl risulta inferiore rispetto a quello precedentemente garantito dal RdC. La metodologia analitica adottata nella analisi – puntualizza il rapporto – non consente di isolare il contributo specifico di ciascun fattore. È, pertanto, essenziale sottolineare che l’evidenza offerta non si propone di stabilire nessi causali, ma si prefigge unicamente di fornire una rappresentazione descrittiva del fenomeno oggetto d’indagine.
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