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Braccio di ferro sull’ex Ilva. Domani la sfida tra Governo e Taranto


TARANTO – La trattativa per il futuro dell’ex Ilva di Taranto si gioca adesso su un terreno molto scivoloso. La necessità di salvare un asset industriale strategico si confronta direttamente con le legittime istanze di tutela ambientale e sanitaria del territorio. Al centro del dibattito, che vede contrapposti il Governo e gli Enti Locali, ci sono una questione di metodo e una questione di priorità sull’Accordo di Programma, ovvero su quell’atto formale che dovrebbe definire la rotta per la decarbonizzazione e il rilancio dello stabilimento.

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La posizione del Governo, rappresentata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), mira a fornire un quadro di certezze prima ancora di individuare il futuro acquirente. L’obiettivo è firmare l’Accordo interistituzionale che diventi legalmente vincolante per tutti gli attori coinvolti.

Questa mossa non è comunque casuale. Il Governo è convinto che un investitore privato non possa essere attratto da un’azienda il cui futuro è ancora indefinito. La firma dell’Accordo prima del bando servirebbe a stabilire regole chiare e inequivocabili. Un potenziale acquirente, consultando la Lettera di Procedura II (ovvero il capitolato della gara di vendita, già pubblicata e avviata), saprebbe fin da subito quali sono gli impegni vincolanti che si assume: gli investimenti per la decarbonizzazione, le tempistiche di realizzazione dei nuovi impianti e i vincoli ambientali da rispettare. Con questa impostazione, il proponimento è di eliminare le ambiguità, scongiurando il rischio che ritardi, ricorsi o disaccordi tra le istituzioni possano compromettere il piano industriale e far fallire la gara di vendita. L’intero procedimento, così strutturato, non si riduce a una mera operazione finanziaria, ma si configura come un progetto industriale con obiettivi già prefissati e condivisi a livello istituzionale.

Gli Enti Locali, con il Comune di Taranto in prima linea, guardano con scetticismo a questa impostazione. La principale preoccupazione è che un Accordo di Programma sottoscritto in anticipo possa equivalere a una firma “in bianco”, ovvero all’accettazione di un piano che, a loro giudizio, potrebbe non offrire sufficienti garanzie per la salute dei cittadini e le bonifiche del territorio. Su questa prospettiva, appare più utile mantenere una certa flessibilità contrattuale da sfruttare in un secondo momento. L’idea è quella di negoziare direttamente con il futuro acquirente, una volta che sarà stato individuato. Avere dinanzi un soggetto reale e il suo specifico piano industriale permetterebbe di discuterne i dettagli in modo mirato, ottenendo impegni più stringenti e soprattutto a beneficio della comunità locale. La flessibilità diventa così uno strumento per rivendicare con maggior forza garanzie su aspetti dirimenti come lo spegnimento degli altoforni, le operazioni di sicurezza e sanità e le forme di indennizzo e risarcimento per il territorio. Gli Enti Locali non vogliono essere semplici ratificatori di un piano deciso a Roma, ma diventare parte attiva nella sua definizione, convinti che solo così si possano tutelare davvero gli interessi della popolazione residente.

In definitiva, la trattativa in corso per l’ex Ilva rappresenta due visioni strategiche profondamente diverse. Da un lato, il Governo cerca di blindare il futuro dello stabilimento fissando prima le regole e poi cercando un acquirente che vi si adatti. Dall’altro, gli Enti Locali vorrebbero che l’Accordo finale fosse il risultato di un confronto diretto con l’acquirente, per modellare il Piano complessivo in base alle esigenze sociali e alle necessarie garanzie. Il nodo da sciogliere in questo braccio di ferro istituzionale è proprio questo: stabilire se la certezza e la stabilità si creano prima o se sono il frutto di una negoziazione successiva.

Raffaele Bagnardi
Sociologo del Lavoro

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