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fino a 3% di Pil a rischio


Una lunga catena di cantieri congelati a Milano minaccia di trasformarsi, in breve tempo, in una crisi che colpirebbe famiglie, imprese e conti pubblici: un allarme che Federico Filippo Oriana, presidente di Aspesi Unione Immobiliare, lancia senza esitazioni, avvertendo che il pericolo oltrepassa i confini cittadini.

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Un’emergenza che accomuna chi acquista e chi costruisce

Dietro i cancelli chiusi dei lavori di sostituzione edilizia si trovano 4.525 appartamenti ormai fermi e, con essi, più di 12mila persone rimaste senza l’abitazione per la quale hanno già acceso un mutuo o versato acconti. Lo stesso destino si abbatte sulle imprese che hanno venduto legittimamente quelle case, contando su un iter autorizzativo pienamente conforme alle indicazioni comunali e regionali. Famiglie e operatori, insomma, si ritrovano nella stessa imbarcazione, entrambi travolti da un blocco burocratico che nessuno di loro ha provocato, costretti a gestire rate bancarie, penali e spese a fronte di cantieri sigillati da quasi due anni.

Il numero, già di per sé allarmante, si riflette su un valore economico impressionante: circa 5 miliardi di euro bloccati in città che, considerando l’intera catena produttiva connessa – progettisti, industrie dei materiali, fornitori di arredi, impiantisti e gestori di servizi – diventano 38 miliardi in cinque anni. Tale cifra, calcolano i centri studi di settore, corrisponde a oltre l’1,6 % del prodotto interno lordo nazionale. Se poi l’incertezza normativa dovesse contagiare i lavori privati in tutta Italia, la perdita cumulata potrebbe sfiorare tre punti di Pil, un colpo che l’economia del Paese, già proiettata su una complessa ripartenza europea, non sarebbe in grado di assorbire.

L’incertezza normativa, vero motore del blocco

La paralisi va avanti da 19 mesi e ha la sua radice in una nebulosa interpretativa delle regole urbanistiche, oggi affidata a un procedimento penale che, secondo Oriana, non è lo strumento adatto a dirimere controversie di natura amministrativa. Il presidente di Aspesi paragona la situazione a quella di un paziente che firma, in buona fede, un modulo fornito dall’ospedale e scopre solo in seguito che quel documento non era regolare: nessuno si aspetterebbe di finire davanti a un giudice per aver seguito le procedure indicate da un’autorità competente. Allo stesso modo, le società hanno presentato istanze, ottenuto permessi e siglato compromessi sotto la regia degli uffici tecnici comunali, senza motivo di dubitare della correttezza del percorso.

A rendere più complessa la vicenda c’è il fatto che la normativa nazionale, regionale e milanese ha esplicitamente incentivato la sostituzione edilizia, proprio per eliminare edifici vetusti e macchiare meno suolo vergine. Improvvisamente, ciò che era ritenuto virtuoso – demolire, bonificare, ricostruire – diventa materia di contestazione, lasciando gli operatori in un limbo nel quale non è chiaro quali atti siano validi, quali retroattivi e quali possano esporre a sanzioni. Questa nebulosa di interpretazioni scoraggia chiunque volesse avviare un nuovo progetto, alimentando un effetto domino di timori e rinvii che si propagano fino al mercato del credito.

Un rischio sistemico per la prima filiera del Paese

La catena immobiliare, che spazia dalla produzione di laterizi alla fornitura di servizi di gestione post-vendita, rappresenta quasi il 30 % del valore aggiunto nazionale. Ogni fermo cantiere mette a repentaglio fornitori, professionisti e industrie che dipendono dalla puntualità dei lavori e dalla puntualità dei pagamenti. C’è già il caso di un’azienda – seppur non associata ad Aspesi – finita in procedura concorsuale e una seconda, questa volta appartenente all’associazione, che rischia una penale di 10 milioni di euro se il cantiere non ripartirà entro metà novembre. Quando l’ingranaggio si arresta, le banche iniziano a rientrare sulle esposizioni e l’effetto-valanga coinvolge posti di lavoro, impianti produttivi e gettito fiscale.

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A livello europeo, lo scenario aggrava il confronto competitivo tra mercati: mentre altri Paesi rafforzano i programmi di rigenerazione urbana per contenere consumo di suolo e riqualificare quartieri degradati, l’Italia rischia di fermarsi proprio sulla propria eccellenza storica, quella dell’edilizia di qualità. Senza una soluzione rapida, il nostro sistema produttivo potrebbe perdere opportunità di investimento estero, subire downgrade di rating e vedere crescere la diffidenza degli investitori, che chiedono soprattutto certezze normative. Il conto sociale, poi, ricadrebbe sulle stesse famiglie che si trovano a pagare affitti temporanei e rate di mutuo contemporaneamente, con ricadute su consumi e risparmi.

Una legge nazionale per restituire fiducia e orizzonte

Secondo Oriana, l’unica risposta efficace deve arrivare dal Parlamento: una legge dello Stato che sani il pregresso e stabilisca, una volta per tutte, procedure chiare per la rigenerazione urbana. Solo un intervento legislativo di rango nazionale, sottolinea il presidente, può evitare discriminazioni tra cantieri sequestrati e progetti ancora sulla carta, garantendo uniformità di trattamento e restituendo prospettiva a un comparto che pianifica investimenti con orizzonti pluriennali. Inoltre, una norma può liberare risorse già stanziate, dare sicurezza alle banche creditrici e definire in modo trasparente oneri e tempistiche a carico dei promotori.

Le grandi città, da Roma a Milano, hanno davanti sfide di riqualificazione enormi: solo nel capoluogo lombardo si contano 204 aree dismesse in appena 183 chilometri quadrati di territorio urbano. Lasciare questi spazi al degrado significa perdere valore economico, sicurezza e qualità della vita; ma indicare agli operatori una strada e poi ritrattare le regole in corsa equivale ad azzerare la credibilità dell’intero sistema. Una legge organica, conclude Aspesi, consentirebbe di chiudere il contenzioso sul passato e di offrire un futuro certo, evitando che un ingranaggio decisivo dell’economia italiana si trasformi da motore di crescita a improvviso peso morto.



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