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Chip, la tassa sulle vendite in Cina ridurrà i margini fino al 15%


Stringendo un accordo con Nvidia e Advanced Micro Devices (Amd) per concedere al governo degli Stati Uniti una percentuale del 15% sulle sue vendite in cambio della ripresa delle esportazioni di chip AI vietati verso la Cina, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump stravolgerebbe decenni di politica di sicurezza nazionale, creando una categoria di rischio aziendale completamente nuova.

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Nei giorni scorsi i media Usa riportavano la notizia, non confermata, della firma tra i chipmaker e la Casa Bianca, secondo cui accettavanao di versare all’amministrazione Usa il 15% del fatturato prodotto dalle vendite in Cina. A valle dei rumorso il presidente Trump ha comunque fatto sapere sarebbe disponibile a consentire a Nvidia di vendere una versione declassata del suo sistema Blackwell nel Paese asiatico.

Ma cosa ne pensano gli analisti? Quali effetti potrebbe avere sul mercato questa strategia? Secondo alcuni osservatori l’imposta potrebbe incidere sui margini dei produttori di chip e creare un precedente per Washington nella tassazione delle esportazioni statunitensi critiche. “Ci sembra una strada pericolosa”, commentano per esempio gli analisti di Bernstein sentiti da Reuters, che prevedono che l’accordo ridurrà i margini lordi sui processori destinati alla Cina da 5 a 15 punti percentuali, sottraendo circa un punto ai margini complessivi di Nvidia e Amd.

“Naturalmente, non solo i produttori di chip, ma anche le aziende che vendono altri prodotti strategici alla Cina si chiederanno se il modello di rimessa possa essere applicato ai loro settori”, spiega Hendi Susanto, gestore di portafoglio presso Gabelli, che detiene azioni di Nvidia. “Per i venditori di prodotti strategici alla Cina, la rimessa potrebbe essere un peso o un’ancora di salvezza per preservare l’accesso al mercato cinese, che offre opportunità enormi e in crescita”, aggiunge Susanto.

L’ennesimo strappo di Trump

Storicamente, il governo degli Stati Uniti ha preso decisioni mirate per controllare l’esportazione di tecnologie sensibili per motivi di sicurezza nazionale. Tali decisioni erano considerate non negoziabili; se una tecnologia era controllata, le aziende non potevano aggirare tali controlli, indipendentemente da quanto fossero redditizie le vendite estere perse.

Donald Trump ha invece sollevato la possibilità di porre fine a quell’era, affermando che avrebbe permesso a Nvidia e Amd di vendere i propri chip H20 alla Cina in cambio di una quota del 15% delle vendite in quel Paese. Anche Amd, con sede nella Silicon Valley, verserà il 15% dei ricavi derivanti dalle vendite in Cina dei suoi chip MI308, la cui esportazione in Cina era precedentemente vietata. Secondo il New York Times, questo accordo potrebbe fruttare oltre 2 miliardi di dollari al governo americano.

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Il presidente degli Stati Uniti ha anche detto, parlando con i giornalisti, di essere disposto a consentire a Nvidia di vendere in Cina una versione ridotta dei suoi attuali chip Blackwell, il prodotto di punta dell’azienda.

Si tratta, nella migliore tradizione delle strategie trumpiane, di un vero e proprio balletto: mesi prima, la sua stessa amministrazione aveva vietato la vendita di chip H20 alla Cina, ma a luglio ha revocato la decisione nell’ambito di quelli che il governo ha definito negoziati sulle terre rare. Più nello specifico, all’inizio del mese, Nvidia aveva annunciato che avrebbe ripreso le vendite dei suoi chip H20 in Cina. Mentre solo mercoledì scorso Trump ha annunciato l’intenzione di imporre dazi del 100% sui “chip e semiconduttori”, senza specificare, per il momento, la data di entrata in vigore di questa nuova tassa doganale. Questa settimana l’ennesima inaspettata svolta.

Il biasimo bipartisan dei legislatori statunitensi

La nuova mossa non ha suscitato solo la perplessità degli analisti, ma anche il biasimo bipartisan dei legislatori statunitensi, che evocano il rischio di creare un quadro di riferimento “pay-for-play” per la vendita di tecnologie sensibili agli avversari degli Stati Uniti.

“I controlli sulle esportazioni sono una difesa in prima linea per proteggere la nostra sicurezza nazionale e non dovremmo creare un precedente che incentivi il governo a concedere licenze per vendere alla Cina tecnologie che ne miglioreranno le capacità di intelligenza artificiale”, dice John Moolenaar, repubblicano del Michigan e presidente della Commissione speciale della Camera sulla Cina. Mentre Raja Krishnamoorthi dell’Illinois, democratico di spicco della stessa commissione, sottolinea che in questo modo “segnaliamo alla Cina e ai nostri alleati che i principi di sicurezza nazionale americani sono negoziabili per la giusta tariffa”.

Per tutta risposta, l’amministrazione Trump sostiene che i rischi per la sicurezza nazionale derivanti dalla ripresa delle vendite di H20 sono minimi, poiché il chip è processore ampiamente venduto in Cina. Il mese scorso, il segretario al Commercio degli Stati Uniti Howard Lutnick ha descritto l’H20 come il “quarto miglior chip” di Nvidia in un’intervista alla Cnbc, affermando che è nell’interesse degli Stati Uniti che le aziende cinesi continuino a utilizzare la tecnologia americana.

Ma è una mossa legale?

Una sola cosa è certa: un accordo del genere costituisce un precedente per gli Stati Uniti, e segna l’ultimo intervento di Trump nel processo decisionale aziendale dei grandi colossi tecnologici, dopo aver esercitato pressioni sui dirigenti affinché investissero nella produzione americana e aver chiesto le dimissioni di Lip-Bu Tan, amministratore delegato di Intel, a causa dei suoi legami con aziende cinesi.

Non è chiaro, d’altra parte, se la mossa di Trump sia legale. La Costituzione degli Stati Uniti vieta infatti al Congresso di imporre tasse e dazi sui prodotti esportati da qualsiasi Stato. Per l’avvocato specializzato in diritto commerciale Jeremy Iloulian è difficile stabilire se si tratti di una “tassa sulle esportazioni” o di un’altra forma di pagamento senza conoscere meglio i dettagli dell’accordo. “Fino ad oggi, non è mai stato preso in considerazione quanto le aziende debbano pagare per ottenere una licenza di esportazione”, ha affermato Iloulian.

Kyle Handley, professore presso la School of Global Policy and Strategy dell’Università della California di San Diego, non ha dubbi: “A me sembra proprio una tassa sulle esportazioni… possono chiamarla come vogliono. Sembra proprio che il governo stia prendendo una piccola percentuale”.

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“Penso che sia giusto dire che ora in questa amministrazione tutto sembra negoziabile in modi che prima non lo erano”, ha detto Sarah Kreps, docente alla Brooks School of Public Policy della Cornell University. “Non credo che questo sia un caso unico, nel senso che sarà l’ultimo accordo di questo tipo che vedremo”.

Parlando con Reuters, un portavoce di Nvidia ha dichiarato: “Seguiamo le regole stabilite dal governo degli Stati Uniti per la nostra partecipazione ai mercati mondiali. Sebbene non spediamo H20 in Cina da mesi, speriamo che le norme sul controllo delle esportazioni consentano all’America di competere in Cina e nel mondo”.

Da Amd fanno sapere che gli Stati Uniti hanno approvato le sue richieste di esportazione di alcuni processori AI in Cina, ma non è ancora stato affrontato direttamente l’accordo di condivisione dei ricavi e ha affermato che l’attività dell’azienda è conforme a tutti i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti.



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