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Cosa (non) prevede l’accordo per decarbonizzare l’ex Ilva di Taranto


Nella sede del ministero delle Imprese, a Roma, il governo, la Regione Puglia, i Comuni e tutte le amministrazioni coinvolte hanno firmato una bozza d’intesa per avviare la decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto. L’accordo prevede lo spegnimento delle aree a caldo alimentate a carbone e la sostituzione con forni elettrici, ma non stabilisce ancora una data per la transizione né la localizzazione del polo Dri, l’impianto che dovrà produrre il preridotto (la materia prima a base di ferro, ottenuta riducendo il minerale senza fusione) indispensabile per alimentare i nuovi forni elettrici. Senza il Dri, la riconversione produttiva non potrà essere completata.

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Il documento, articolato in sei punti, è stato sottoscritto da quattro ministeri (Ambiente, Imprese, Salute e Interno) dalla Regione Puglia, dalla Provincia di Taranto, dai Comuni di Taranto e Statte, dall’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ionio e dalle società in amministrazione straordinaria legate all’ex Ilva. La tempistica della transizione sarà definita solo dopo la conclusione della nuova gara per l’assegnazione dello stabilimento: le offerte vincolanti dovranno arrivare entro il 12 settembre e solo dopo sarà valutata la localizzazione del Dri, anche in base alla disponibilità di energia sufficiente e a costi sostenibili.

Il presidente della Provincia di Taranto, Gianfranco Palmisano, ha parlato di «un passo concreto verso quella decarbonizzazione dello stabilimento ex Ilva che per troppo tempo è rimasta solo una promessa», rivendicando l’aumento del fondo sanitario, le garanzie occupazionali e il potenziamento del monitoraggio ambientale. Il sindaco di Taranto, Piero Bitetti, ha sottolineato che il testo prevede «l’obbligo vincolante della piena decarbonizzazione» e «la tutela occupazionale quale principio inderogabile», escludendo «qualsiasi riferimento all’ipotesi di approvvigionamento tramite nave gasiera». Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha definito l’intesa «una svolta che potrà incoraggiare gli investitori a manifestarsi con i loro piani industriali per il rilancio della siderurgia, della riconversione, della conversione green».

I sindacati però restano scettici. Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, considera il documento «privo di tutele e certezze sotto ogni punto di vista per i lavoratori e le comunità interessate». Michele De Palma, leader della Fiom, ha chiesto una partecipazione pubblica nella proprietà, mentre Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim, ha definito «imprescindibile» che il polo Dri venga costruito a Taranto.

Lo stabilimento, attivo dagli anni Sessanta e per decenni il più grande d’Europa, è da anni al centro di una crisi industriale e ambientale. Sotto amministrazione straordinaria dal 2015, oggi produce molto meno della capacità autorizzata di sei milioni di tonnellate annue e mantiene migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Le indagini epidemiologiche hanno documentato nella zona un eccesso di patologie e di mortalità rispetto alla media nazionale, in parte attribuito alle emissioni industriali.

Se realizzata nei tempi e nelle modalità previste, la riconversione ai forni elettrici potrebbe ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e le polveri sottili. Ma per ora, tempi certi e sede del nuovo impianto DRI restano due questioni ancora senza risposta, rinviate a dopo metà settembre.

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