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Tassazione partecipazioni qualificate, – Fisco Oggi


Dalla sommatoria deriva il regime fiscale da applicare ai dividenti distribuiti ai soci, l’aliquota cambia se il valore complessivo delle loro azioni supera il 25% del patrimonio o del capitale sociale

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Per determinare, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 27 del Dpr n. 600/1973, se la partecipazione in una società di capitali possa ritenersi o meno “qualificata” (ex articolo 67, primo comma, Tuir) devono essere prese in considerazione non solo le azioni detenute in piena proprietà ma anche le azioni detenute in nuda proprietà, previa valutazione delle stesse e sommatoria del relativo valore a quello delle azioni a proprietà piena.

È quanto ha stabilito, accogliendo le tesi dell’Amministrazione finanziaria e cassando la decisione dei giudici di merito, la Corte di cassazione con la pronuncia n. 17741 del 1° luglio 2025.

La vicenda processuale
L’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento con il quale rideterminava in aumento il reddito di una contribuente sul presupposto della sua partecipazione “qualificata” nella società X Spa, in ragione del proprio possesso di azioni sia in piena proprietà che azioni in nuda proprietà.
Avverso tale atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria, la contribuente ricorreva dinanzi ai competenti giudici di primo grado che accoglievano il ricorso giudicando erroneo l’operato del Fisco laddove aveva utilizzato, ai fini del trattamento tributario dei dividendi societari, la nozione di “partecipazione qualificata” desumibile dall’articolo 67, comma 1, lett. c) del Tuir, prevista per la diversa ipotesi della cessione delle quote societarie.

La norma richiamata dispone, tra l’altro, che sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate. Costituisce cessione di partecipazioni qualificate la cessione di azioni, diverse dalle azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale od al patrimonio delle società e associazioni di cui all’articolo 5 e dei soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), nonchè la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o titoli ceduti rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni. Per i diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni si tiene conto delle percentuali potenzialmente ricollegabili alle predette partecipazioni. La percentuale di diritti di voto e di partecipazione e’ determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi. Tale disposizione si applica dalla data in cui le partecipazioni, i titoli ed i diritti posseduti rappresentano una percentuale di diritti di voto o di partecipazione superiore alle percentuali suindicate. Sono assimilate alle plusvalenze di cui alla presente lettera quelle realizzate mediante:
1) cessione di strumenti finanziari di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 44 quando non rappresentano una partecipazione al patrimonio;
2) cessione dei contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), qualora il valore dell’apporto sia superiore al 5 per cento o al 25 per cento del valore del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della data di stipula del contratto secondo che si tratti di società i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni. Per le plusvalenze realizzate mediante la cessione dei contratti stipulati con associanti non residenti che non soddisfano le condizioni di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo, l’assimilazione opera a prescindere dal valore dell’apporto;
3) cessione dei contratti di cui al numero precedente qualora il valore dell’apporto sia superiore al 25 per cento dell’ammontare dei beni dell’associante determinati in base alle disposizioni previste del comma 2 dell’articolo 47 del citato testo unico”.

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Saldo e stralcio

 

Ad avviso dei giudici tributari, la partecipazione della ricorrente non poteva, infatti, ritenersi “qualificata” sia perché non era stata fornita la prova del diritto di voto nella percentuale indicata dalla legge sia perché la posizione del pieno proprietario è ben diversa da quella del nudo proprietario, non percependo quest’ultimo alcun dividendo, con la conseguenza che se fosse corretto l’operato del fisco il nudo proprietario delle azioni si troverebbe a pagare le tasse su dividendi non percepiti.
L’Agenzia decideva, quindi, di ricorrere in appello ma, anche qui, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna confermava la sentenza di primo grado.
All’Amministrazione finanziaria non rimaneva, dunque, altra via che ricorrere in ultima istanza dinanzi la Corte suprema di cassazione, sostenendo come per determinare la quota di partecipazione al capitale sociale si debbano sommare le cessioni anche di diritti diversi come piena proprietà, usufrutto e nuda proprietà azionaria.

La decisione della Cassazione
Chiamati a pronunciarsi definitivamente sulla controversia, i supremi giudici hanno sposato le tesi del Fisco e cassato le decisioni dei giudici tributari di merito.
I magistrati romani hanno, infatti, sottolineato come la questione verta sulla corretta individuazione del regime impositivo dei dividendi percepiti da persone fisiche titolari di azioni e/o quote societarie, regime che l’articolo 27 del Dpr n. 600/1973 distingue a seconda che la partecipazione sia o meno qualificata e se in tale partecipazione qualificata debbano essere considerate, oltre alle quote di cui si è pieni proprietari, anche le quote detenute in nuda proprietà.
Ed è proprio a quest’ultimo interrogativo che i magistrati capitolini hanno dato risposta affermativa.

La Corte ha, infatti, ricordato come il dividendo rappresenti il “frutto civile” dell’azione o della quota della società di capitali e come in caso di usufrutto dell’azione, esso spetti all’usufruttario, concorrendo a formare il reddito imponibile di questi. Ma questo non esclude, hanno proseguito gli stessi giudici, che la posizione del socio nudo proprietario debba essere considerata al fine di valutare se la sua partecipazione possa ritenersi “qualificata”, con una valutazione che andrà effettuata proprio mediante la determinazione del valore delle quote in nuda proprietà, secondo i criteri di cui agli articoli 46 e 48 del Dpr n. 131/1986 (Tur), dettati proprio in materia di determinazione del valore di quote su beni mobili e immobili posseduti a titolo di nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione.

Un ragionamento diverso, hanno ancora proseguito i magistrati di cassazione, significherebbe svuotare di ogni contenuto la titolarità di azioni in nuda proprietà, disconoscendo qualsiasi valore alle stesse. Invece, se il valore delle quote in nuda proprietà, sommato a quello in piena proprietà, supera la soglia del 25% (del patrimonio o del capitale sociale, essendo tali criteri alternativi), la partecipazione deve ritenersi “qualificata”, con conseguente applicazione del regime fiscale più sfavorevole. E non si tratta, come pur hanno affermato i giudici di merito, di sottoporre, in tal modo, a tassazione dividendi non percepiti bensì di applicare l’aliquota maggiore (per la detenzione qualificata) al reddito effettivamente percepito dal contribuente.

Per questi motivi, la Corte di cassazione ha cassato la decisione dei giudici tributari di secondo grado, dando ragione al fisco.



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