Il termine reskilling racchiude un’idea semplice: dare a un lavoratore nuovi strumenti per restare al passo con ciò che il mercato richiede. Non è un vezzo, ma una strategia di sopravvivenza professionale. I numeri diffusi dal Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum sono chiari: entro il 2030, quasi sei lavoratori su dieci dovranno essere formati di nuovo. Non tutti vivranno questo passaggio nello stesso modo. Circa il 29 % potrà continuare a svolgere il proprio lavoro attuale, ma con competenze aggiornate; un altro 19 % sarà spostato verso ruoli diversi; e c’è un 11 % che rischia seriamente di non ricevere alcuna formazione, con la prospettiva concreta di uscire dal mercato.
Questa trasformazione non riguarda solo le professioni legate alla tecnologia. Certo, tra le competenze più richieste spiccano quelle legate all’intelligenza artificiale, ai big data e alla cybersecurity, ma accanto a queste restano fondamentali capacità cognitive come il pensiero critico e la risoluzione dei problemi, e soft skills quali resilienza, leadership e comunicazione. Prepararsi a cambiare lavoro più volte nell’arco di una carriera diventa, per molti, una nuova normalità.
Il punto di vista delle imprese
Per le aziende, la questione non è meno urgente. Oltre sei datori di lavoro su dieci indicano la mancanza di competenze adeguate come il principale ostacolo all’innovazione. Eppure, solo metà delle imprese prevede di ricollocare i propri dipendenti in ruoli in crescita, mentre il 40 % considera invece la riduzione del personale che non possiede competenze aggiornate.
Un altro aspetto messo in luce dal Workplace Learning Report 2025 di LinkedIn è la correlazione tra investimenti strutturati nella formazione e performance aziendali: chi investe in modo mirato registra migliori risultati, trattiene più facilmente i talenti e ne attrae di nuovi. Il problema è che solo il 36 % delle imprese ha un vero programma di sviluppo di carriera con obiettivi e misurazioni chiare.
Ci sono però realtà che stanno già mostrando la strada. Amazon ha riqualificato più di 200.000 dipendenti in 14 Paesi attraverso programmi retribuiti. IBM utilizza l’intelligenza artificiale per suggerire ai propri lavoratori ruoli interni coerenti con il loro profilo. Walmart ha creato percorsi per trasformare addetti alla vendita in tecnici o autisti, rispondendo alla carenza di manodopera. Siemens, infine, ha lanciato MyGrowth Hub, un sistema interno che individua i gap di competenze e propone piani personalizzati di crescita.
L’intelligenza artificiale come alleata della formazione
L’AI non è solo un ambito in cui servono nuove competenze, ma anche uno strumento per formarle. I programmi che integrano intelligenza artificiale nella formazione riescono a personalizzare i percorsi, adattandoli ai tempi e ai bisogni di ogni persona. È ciò che sta facendo IBM con i suggerimenti di carriera interni, ma anche Siemens con l’analisi dei gap professionali. L’AI rende i processi di apprendimento più rapidi e mirati, trasformando la formazione in un investimento con ritorni misurabili.
Il caso italiano
In Italia, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha stanziato 1,7 miliardi di euro per il “Piano nuove competenze” e ha potenziato la Garanzia occupabilità dei lavoratori (GOL), con l’obiettivo di coinvolgere 3 milioni di persone entro quest’anno. Gli Istituti Tecnici Superiori sono considerati un tassello decisivo per ridurre il divario tra domanda e offerta di competenze.
Il problema è che questi programmi, così come sono stati concepiti, hanno un orizzonte temporale limitato: i fondi europei del PNRR si esauriranno nel 2026. Senza un piano di continuità, il rischio è quello di vedere interrotta una spinta che, per essere efficace, dovrebbe durare ben oltre quella data.
E la scuola?
Quando si parla di reskilling, la mente corre subito a settori tecnologici o industriali. Ma la trasformazione riguarda anche il mondo dell’istruzione. L’introduzione dell’AI nelle aule e negli uffici di segreteria richiede docenti e personale amministrativo capaci di usare questi strumenti non solo in chiave tecnica, ma per migliorare organizzazione e didattica.
Anche nella scuola italiana comincia a muoversi qualcosa in questa direzione.
- Il Ministero dell’Istruzione e del Merito, sotto la guida del ministro Giuseppe Valditara, ha avviato una sperimentazione in 15 classi di secondarie superiori tra Lombardia, Abruzzo, Marche e Toscana, con l’obiettivo di personalizzare l’apprendimento e valorizzare i talenti degli studenti
- Questo progetto, parte di un piano biennale, include istituti del Lazio, Lombardia, Toscana e Calabria e punta anche a supportare chi presenta difficoltà di apprendimento
Ministero dell’Interno - Queste sperimentazioni sono osservate per valutarne l’impatto e considerare possibili applicazioni su scala più ampia
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link