“Ci saremmo aspettati che tutto cambiasse dopo una cosa così grande”. Egle Possetti, presidente del comitato dei parenti delle vittime del crollo del Morandi, lo ha ribadito disillusa, mercoledì sera, in occasione dello spettacolo teatrale ospitato, alla vigilia della commemorazione, dal Comune di Genova a Palazzo Tursi.
Un auspicio come noto del tutto tradito: il sistema concessorio e il diabolico meccanismo di tariffe-investimenti-manutenzioni sono rimasti inalterati e pure Autostrade per l’Italia ha mantenuto lo status quo, mentre l’estromissione della proprietà di allora (col controllo passato per giunta a soggetti che la speculazione la fanno apertamente di mestiere) è costata ai cittadini uno sproposito grazie alle clausole capestro ottenute negli anni dai Benetton. All’insaputa dei cittadini stessi.
Ecco su questo punto vale la pena soffermarsi, perché il fil rouge fra la tragedia del Morandi e quel che ne è seguito in questi sette anni è davvero inquietante in termini di opacità con cui lo Stato stesso continua ad ammantare la propria azione.
Al crollo, come si sa, ha fatto seguito un articolato quadro risarcitorio, anche verso la città. Dentro questa cornice sono finite anche alcune maxi-opere (sulla cui valenza riparatoria per la città ci sarebbe peraltro molto da discutere, come dimostrato dal Fatto in questi 7 anni) beneficiate di finanziamenti pubblici e leggi speciali: la nuova diga foranea del porto e il nuovo bacino navalmeccanico dei cantieri navali di Sestri ponente, due miliardi di investimento, in corso, a carico dei contribuenti italiani.
A spanne, molto a spanne. Perché se da un punto di vista tecnico-operativo il sistema dei controlli di legge, seppur zavorrato dallo status commissariale attribuito alle opere col risibile pretesto dell’emergenza, permette di avere almeno qualche aggiornamento sull’andamento (assai problematico) dei lavori, sul fronte dei soldi si naviga a vista.
Proprio ieri a chi scrive è stato negato per l’ennesima volta dall’ente responsabile, l’Autorità portuale – altro esempio di immutabilità: risposte e funzionari sono gli stessi del mandato dell’ex presidente Paolo Signorini, corrotto con Giovanni Toti (secondo quanto patteggiato con la procura) dall’imprenditore Aldo Spinelli e indagato proprio per l’aggiudicazione dei lavori della diga – l’accesso agli atti dei Collegi consultivi tecnici dei due appalti.
All’ostensione si sono fermamente opposti anche i Collegi stessi, gli organismi chiamati a risolvere le controversie fra appaltante e appaltatore su varianti e riserve e quindi in sostanza a decidere della spesa pubblica, fra i cui riccamente remunerati membri Signorini ha voluto fedelissimi come Giacomo Aiello e Pietro Baratono, avvocato dello Stato e membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici autori in quegli anni di pareri e pronunce caldeggiatissime dal grand commis corrotto.
Senza scendere in tecnicismi da azzeccagarbugli, le motivazioni sono sempre contraddittorie e cavillose e poggiano sulla fumosità e la continua mutevolezza delle norme in materia e sul fatto che i ricorsi sono lunghi ed economicamente insostenibili per cittadini o stampa. Quel che non cambia mai è la volontà di nascondere ciò che l’amministrazione fa coi soldi del contribuente.
Un vizio grave, non più accettabile, tanto più se correlato ad opere che i contribuenti dovrebbero risarcirli per una “cosa così grande”, una tragedia nata anche sul tappeto sotto cui per anni s’è occultata ai cittadini il vero degrado del ponte. La promozione del coraggioso spettacolo del giovane e talentuoso Pietro Giannini è stato un bel segnale della nuova amministrazione comunale di Silvia Salis: sarebbe un bel sequel se quello successivo fosse la pretesa della massima trasparenza, sui Collegi consultivi tecnici e non solo.
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