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Burkina Faso, la rivoluzione sostenibile


Attenzione alla sostenibilità ambientale, valorizzazione delle fonti rinnovabili di energia e investimenti nel campo dell’e-mobility. Il nuovo corso del Burkina Faso con il suo giovane presidente Ibrahim Traoré apre lo spazio a una riflessione di fondo ovvero su quale sia il sistema di governo che meglio assicuri lo sviluppo di un Paese.

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Se da un lato il modello occidentale sembra avere dimostrato i propri limiti, quello cino-russo sembra portare maggiori risultati come sostenuto anche da tanti africanisti italiani che ne abbracciano il concetto. Ma resta il nodo della tutela delle libertà fondamentali della popolazione.

Autoritarismo e sviluppo: il contesto del Burkina Faso

Situato in Africa occidentale, sull’alto corso del fiume Volta e senza sbocco al mare, il Burkina Faso, un tempo noto come Alto Volta, è tornato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale per alcune scelte della giunta militare al potere, nonché per essere il primo stato africano a produrre una propria auto elettrica.

Alcune informazioni di contesto possono essere utili. Si tratta di una ex colonia francese, entrata nei domini dei cugini d’Oltralpe nel 1896, e che ha ottenuto la propria indipendenza nel 1960. Come altre ex colonie della Francia, ha mantenuto, almeno sino agli ultimi golpe militari, dei solidi rapporti con questa nazione anche grazie all’utilizzo del Franco CFA (comunità finanziaria africana), ovvero una valuta legata dapprima al franco francese e poi all’euro con un rapporto di cambio fisso, posto che Banque de France se ne fa garante trattenendo una parte delle riserve auree dell’ex colonia, assicurando così la tenuta dei cambi nella guerra delle valute che ciclicamente infiamma l’economia mondiale.

La nazione, sebbene ricca di alcune materie prime e quarta produttrice africana di oro, presenta un reddito pro-capite assai basso (882,69 dollari statunitensi nel 2023), ponendosi nella lista dei paesi meno sviluppati del mondo.

I golpe militari e l’orgoglio africano

Negli anni 2021 e 2022, si sono succeduti due colpi di stato, il secondo dei quali ha portato al potere il capitano Ibrahim Traoré, trentasettenne. Per avere un’idea dell’uomo, fortemente attaccato alla sua divisa, basta vedere alcuni video su YouTube: un forte assertore dell’orgoglio africano, ben oltre gli ardori che un patriota può avere per la sua nazione. Egli, infatti, esalta i punti di forza che vari stati africani presentano, in questo ben interpretando un sentimento comune a molti africani, che sono orgogliosi di essere tali, senza considerare la nazione di appartenenza.

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Quale necessario, se non logico ma comprensibile corollario, l’orgoglio africano denuncia un notevole risentimento verso l’Occidente, reo del colonialismo prima e del neo-colonialismo poi, con un sistematico sfruttamento delle risorse africane. Da qui un allontanamento dall’Europa e un avvicinamento alla Russia putiniana che avrebbe, in questa prospettiva, il pregio di rispettare le popolazioni africane (meglio sarebbe dire i loro governanti, senza preoccuparsi dei diritti umani secondo il principio della non ingerenza), spesso dimenticando che le varie milizie mercenarie russe, dalla Wagner alla nuova Afrika Corps, imperversano in quasi tutta la zona del Sahel, con uccisioni e violenze indiscriminate, senza riuscire comunque a debellare il fenomeno della guerriglia jihadista che gli stessi francesi non sono riusciti a sconfiggere.

Minerali ed energie rinnovabili, una nuova attenzione all’ambiente

Tornando al Burkina Faso, ricco di materie prime incluse terre rare e oro, esso versa, come anticipato, sin dall’indipedenza in condizioni di estrema povertà. Come però i paesi africani sono soliti fare, esso presenta alcune sorprese quali il fatto di avere avviato una propria industria nazionale dell’auto elettrica: ITAOUA è il nome del nuovo marchio, che assembla nella capitale Ouagadougou (chiamata spesso Ouaga, il nome di un suo distretto), pezzi costruiti all’estero, fatta eccezione per le batterie che sono gli unici pezzi di produzione locale.

In logica connessione, è da notarsi che il Burkina Faso è il primo produttore di energia solare in Africa occidentale. La creazione di una tale industria si può meglio comprendere se si ha presente che in molti Paesi africani vi è una forte contrapposizione tra vecchie e nuove generazioni, laddove le prime hanno considerato l’ambiente come risorsa da sfruttare e le nuove come risorsa da difendere.

Se allora si ricorda che il nuovo presidente Traoré ha 37 anni, si spiega facilmente perché questo stato possa vantare il primato della costruzione dell’auto elettrica in Africa (e dovrebbe fare riflettere anche i nostri governanti che tuonano per difendere le vecchie auto diesel, senza spendere una sola parola sull’inquinamento che sta compromettendo la salute dei cittadini delle grandi città, a partire da Milano).

E-mobility in Africa

La mobilità elettrica, tra l’altro, non è una novità per i paesi africani, se si pensa che già dal 2022 a Nairobi sono state installate le prime linee di autobus elettrici prodotti in loco dalla joint venture keniana-svedese Roam.

Sebbene la notizia dell’auto elettrica ITAOUA abbia fatto subito il giro del mondo, è lecito dubitare se e quanto essa possa essere vincente, sia in considerazione della povertà della regione e il limitato potere di acquisto degli abitanti, sia per quanto concerne la gestione della catena di assistenza, manutenzione e approvvigionamento.

Nello scenario di questo stato, lo sforzo sulla mobilità sostenibile si inquadra comunque in un più ampio approccio con la natura e l’ambiente: sono state infatti introdotte nuove regole nello sfruttamento delle risorse minerarie imponendo misure di protezione dell’ambiente. Non solo, il presidente Traorè ha altresì fortissimamente voluto anche il progetto di una cintura verde intorno alla capitale Ouagadougou, volta a proteggere la città dall’inquinamento e dal riscaldamento climatico, proprio come varie città del Regno unito stanno facendo.

Inoltre, al fine di meglio controllare i processi produttivi e non svendere le risorse del paese, il governo sta pensando alla nazionalizzazione delle imprese minerarie e ,in particolare, di quelle aurifere (in gran parte attualmente in mano a imprese canadesi e australiane, per le quali il governo ha solo una partecipazione di minoranza e modeste royalties).

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Cosa aspettarsi

Come spesso però accade nei processi condotti nei regimi autoritari, il percorso intrapreso non appare lineare: se infatti, da un lato, si pensa alla nazionalizzazione, dall’altro lato, nuove concessioni sono rilasciate a favore di imprese russe, forse nell’intento si rafforzare la cooperazione, posta l’interruzione della collaborazione con la Francia. Se e quanto il nuovo alleato sarà migliore non è dato saperlo, a noi italiani la storia ha comunque insegnato che chiamare in aiuto lo straniero per cacciarne un altro non ha mai portato alcunché di buono.



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