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Afghanistan. Senza cure, cibo, denaro: l’impatto devastante del taglio dei fondi


«Nel 2025 sono 22,9 milioni le persone in Afghanistan che necessitano di assistenza salvavita a causa di insicurezza alimentare e malnutrizione, spostamenti di popolazione, disastri naturali e shock climatici in un’economia in difficoltà con accesso limitato ai servizi di base». Lo dice l’ultimo rapporto del Segretario generale Onu in una fotografia della situazione che vede una «carenza di finanziamenti con impatto di vasta portata sulle operazioni umanitarie» aggravata dalla decisione Usa (quasi la metà dell’intero budget internazionale) di ridurre drasticamente il loro sostegno.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Il team umanitario in Afghanistan, scrive Guterres, ha intrapreso un’urgente ridefinizione delle priorità «identificando 12,5 milioni di persone, dei 16,8 milioni inizialmente previsti, come le più gravemente bisognose e per il cui sostegno sono necessari 1,62 miliardi di dollari sui 2,352 miliardi di dollari complessivi». In altre parole, su 30 milioni di afgani in forte necessità, la metà affrontano un’emergenza grave ma, tra questi, un quarto dovrà cavarsela come può. La radiografia dell’Onu nel quarto anniversario della vittoria talebana e a valle dei tagli decisi da Trump dice che gli afgani dovranno sempre più arrangiarsi.

Secondo l’Undp, nove famiglie su dieci hanno ridotto i loro bisogni primari e il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) ha reso noto che in 10 milioni potrebbero soffrire la fame quest’estate.

Sanità e sussistenza sono le priorità: secondo Unicef, 3,5 milioni di bambini piccoli soffrono di deperimento e convivono con un’alta percentuale di rischio mortalità. Un rapporto di Emergency uscito in luglio spiega come l’accesso alle cure di emergenza rimanga estremamente limitato. «Il 61% degli intervistati ha segnalato sfide considerevoli nel raggiungere i servizi sanitari. Un paziente su quattro – dice il report della Ong – è stato costretto a posticipare un’operazione chirurgica almeno una volta, mentre uno su cinque ha mancato un appuntamento di controllo. Oltre il 30% degli intervistati ha riportato una disabilità o un decesso a causa del mancato accesso alle cure». Per molti afgani – che in maggioranza vivono in aree rurali e montuose – le lunghe distanze e gli alti costi rimangono ostacoli da superare – a piedi – per raggiungere i servizi sanitari. Tre intervistati su cinque hanno chiesto denaro in prestito o venduto beni personali per pagarsi le cure e «le donne, in particolare le vedove, hanno più paura degli uomini» in viaggi tra l’altro sottoposti a restrizioni. Una condizione confermata da altre Ong italiane, grandi e piccole e fortunatamente ancora presenti nel Paese come Intersos, Pangea, Vento di Terra o la sezione italiana di Msf. In tutto una decina, attive con fondi propri o della cooperazione italiana (bando di marzo per 2,7 mln).

Poi c’è la partita economica: l’associazione United against Inhumanity ricorda che persino il governo Usa riconosce che il Paese «soffre di una crisi di liquidità a causa del suo isolamento dal sistema bancario internazionale e dell’incapacità della sua Banca centrale (Dab), di stampare nuove banconote o di sostituirle». Senza cibo, cure e nemmeno cartamoneta.



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