Di sicuro ne dovrà ancora passare di acqua sotto i ponti prima che la riparazione di una serie di prodotti, tra cui elettrodomestici e smartphone diventi prassi. Però l’iter è cominciato e, al momento, si prevede una effettiva entrata in vigore dopo il 31 luglio 2026. «In ogni caso – spiega Leopoldo Toffano, presidente dei commercianti di elettronica ed elettrodomestici dell’Ascom Confcommercio di Padova e vicepresidente nazionale dell’Ancra, l’associazione di categoria che fa capo a Confcommercio – si tratta di una novità rilevante perchè dovrebbe portare all’obbligo, per i produttori, di offrire riparazioni rapide a prezzi ragionevoli, promuovendo incentivi ed estendendo la garanzia di un anno dopo la riparazione, vietando, peraltro, che siano posti ostacoli tecnici o legali all’uso di pezzi di ricambio indipendenti».
Un passo indietro. A smuovere le acque ci ha pensato la direttiva Ue 2024/1799 promuovendo il diritto alla riparazione dei beni di consumo, il cui recepimento è stato inserito nel disegno di legge della delegazione europea varato in Consiglio dei ministri lo scorso 22 luglio. «La piena operatività – continua Toffano – si avrà solo dopo che il Ddl sarà passato in Parlamento, per cui un annetto è il tempo minimo che prevediamo, auspicando che non ci siano problemi. Se dobbiamo dare credito al Ministero del Made in Italy (il Mimit), i lavori per il recepimento della direttiva sarebbero già in corso, anche se non sarebbe male se l’Ue riprendesse in mano la questione per chiarire, ad esempio, cosa si intende per “ragionevole” quando parliamo di costo delle riparazioni e del lavoro».
Qualche numero per meglio comprendere di cosa stiamo parlando. In Italia, ogni anno, 35 milioni di tonnellate di prodotti ancora utilizzabili terminano la loro vita diventando rifiuti e la scelta di sostituire anziché riparare costa ai consumatori europei la bellezza di 12 miliardi di euro l’anno. «Attualmente – segnala il presidente dei commercianti di elettronica ed elettrodomestici dell’Ascom Confcommercio di Padova – sono più di 300mila le imprese italiane che si occupano di riparazioni e il settore vale quasi 115 miliardi di euro l’anno. Sono numeri importanti, ma sarebbero niente se le riparazioni diventassero un mercato equo dove coesistono durabilità, qualità, sostenibilità grazie al diritto del consumatore alla riparazione e il diritto delle imprese a poter riparare».
E ancora: «Serve un decreto chiaro – continua Toffano – perchè tutto questo servirebbe a poco se non si andranno a toccare i prezzi delle riparazioni e gli incentivi. Faccio un esempio: se cambiare uno schermo costa l’80% del prodotto nuovo, mi dite chi farà la riparazione? Per cui: prezzi delle parti di ricambio calmierati, ma anche piena disponibilità dei manuali tecnici e possibilità di produrre alcune componenti non brevettate con stampanti 3D». Che il provvedimento abbia matrice economica non vi è dubbio, però – l’abbiamo visto con la questione dei rifiuti – ne ha una anche ambientale. «Io – incalza Toffano – ne aggiungerei anche una “sociale” visto che il mercato della riparazione dell’usato potrebbe creare nuova occupazione, vale a dire posti di lavoro stabili, magari in aree periferiche. Certo, la norma andrebbe supportata anche da sgravi fiscali e da iniziative tese a contrastare la pratica dell’obsolescenza programmata dei prodotti elettrici ed elettronici». Insomma, c’è ancora tanto da fare. Però, almeno, il tema è sul tappeto, o meglio, necessita di una decisione da parte dei singoli Paesi membri che avranno la possibilità di “aggiustare” (è proprio il caso di dirlo) la direttiva adattandola ai propri “desiderata”. «A noi – conclude Toffano – potrebbe piacere se nella norma italiana fossero contemplati precisi rimedi a tutela del consumatore, come, ad esempio, l’introduzione di un sistema sanzionatorio basato su vigilanza e controllo».
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