Il Pnrr entra in una fase di necessaria accelerazione con la vera prova che arriverà nell’ultimo semestre utile, quello che si chiuderà il 30 giugno 2026.
La scadenza non ammette deroghe: entro quella data l’Italia dovrà centrare 177 obiettivi e traguardi, pari a oltre il 28% dell’intero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Pnrr sbilanciato sul finale
Il cronoprogramma del Pnrr, almeno sulla carta, è impossibile perché concentrare così tanti obiettivi negli ultimi sei mesi rischia di trasformare la corsa verso il traguardo in un ingorgo amministrativo e burocratico senza precedenti.
Dei 614 traguardi e obiettivi complessivi, più di un quarto è stato programmato nell’ultima rata, la decima. La scelta, in parte, riflette la volontà di dare tempo alle amministrazioni per progettare e avviare le opere più complesse. Ma il risultato è che, a ridosso della scadenza, ci si trova con un accumulo di procedure, cantieri e adempimenti da completare. E i tempi sono strettissimi.
La tabella ufficiale parla chiaro: mentre nelle prime sei rate erano distribuiti circa 270 obiettivi (già raggiunti), e nelle successive tre rate circa 167 obiettivi, l’ultima rata da sola ne conta 177. Praticamente un finale col botto.
Il nodo burocratico sul Pnrr
Ogni obiettivo Pnrr non è una casella da spuntare, ma un processo complesso: bandi, gare, contratti, autorizzazioni, monitoraggio, certificazioni da inviare a Bruxelles. La concentrazione di 177 obiettivi significa anche una mole straordinaria di atti amministrativi da gestire, in un Paese che già fatica con i tempi medi della burocrazia.
La Corte dei Conti ha più volte segnalato che la macchina amministrativa, specie a livello locale, è fragile. Il rischio è che gli enti, schiacciati dalla mole di scadenze, puntino più alla quantità che alla qualità, aprendo cantieri “last minute” solo per certificare l’avvio dei lavori. Gli effetti collaterali consisterebbero in opere avviate e non concluse, interventi realizzati in fretta e con scarsa programmazione, dispersione di risorse. Non si tratta di un fenomeno inedito in Italia, paradiso delle opere incompiute, dove i fondi europei della programmazione ordinaria spesso vengono spesi in extremis, con l’unico obiettivo di non perderli. Se questo schema si ripetesse con il Pnrr, l’Italia dilapiderebbe non solo denaro, ma anche la propria credibilità nazionale. Ma sul tavolo c’è anche la credibilità del governo Meloni, al quale le opposizioni non faranno sconti in caso di obiettivi non centrati nell’ambito del Pnrr.
Dall’Ue nessuna proroga al Pnrr
La Commissione europea ha già chiarito che non è prevista alcuna proroga sul Pnrr: i fondi vanno spesi tassativamente entro il 31 agosto 2026 e tutte le richieste di pagamento devono arrivare entro il 30 settembre 2026. Il Parlamento europeo ha chiesto un’estensione di 18 mesi, ma la linea della Commissione resta dura. Traduzione: se l’Italia non completa i 177 obiettivi in tempo rischia di perdere miliardi di euro.
Nel frattempo le Regioni italiane viaggiano: nell’ambito del Pnrr due Regioni in particolare sommate sono riuscite a spendere 30 miliardi. Si tratta della Lombardia (17 miliardi per 44.533 progetti) e della Campania (13,03 miliardi per 26.535 progetti). La classifica dei progetti regionali vede in fondo Umbria (2,29 miliardi per 4.990 progetti), Molise (1,87 miliardi per 3.255 progetti) e Valle d’Aosta (0,59 miliardi per 1.017 progetti).
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