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Sussidi ambientalmente dannosi: ridurli dovrebbe essere priorità


La riduzione dei SAD in Italia è tra gli obiettivi del PNRR, ma c’è un’assenza di strategia

di Andrea Filippini, Avvocato amministrativista – Esperto nazionale Pnrr

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Ogni anno lo Stato italiano destina miliardi di euro ad interventi che, direttamente o indirettamente, incentivano pratiche dagli impatti ambientali negativi. Questi interventi, noti come “sussidi ambientalmente dannosi” (SAD), rappresentano un problema strutturale della politica economica nazionale e un freno alla transizione ecologica. Nella ormai sempre più diffusa consapevolezza del ruolo che rivestono le politiche fiscali – sia incentivando attività sostenibili, che (auspicabilmente) scoraggiando quelle che tali non sono – il monitoraggio delle sovvenzioni dannose all’ambiente da un lato, e di quelle favorevoli dall’altro, acquisisce così un’importanza conoscitiva strategica per orientare le scelte del Legislatore nazionale ed euro-unitario. Non è un caso che la stessa Commissione Europea individui nella leva fiscale il principale strumento per attuare la strategia della transizione verde e conseguire gli obiettivi delineati nell’European Green Deal: le difficoltà enormi che ha incontrato la riforma, poi di fatto arenatasi, della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici (Energy Taxation Directive, ETD) volta ad aumentare le tasse sui combustibili fossili per allineare la tassazione degli Stati membri con le politiche dell’UE in materia di energia, ambiente e clima ne offrono la più immediata evidenza empirica.

In questo contesto, dunque, l’aggiornamento annuale del Catalogo dei sussidi ambientali e delle proposte per la progressiva eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente e per la promozione dei sussidi ambientalmente favorevoli, svolto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sin dal 2015, in ossequio alle prescrizioni dell’art. 68 della L. 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), più noto come “Collegato Ambiente”, si configura come una base informativa a scala nazionale fondamentale per la definizione delle policies fiscali e quindi di sviluppo ed energetiche nel nostro Paese.

Ad oggi sono state pubblicate e trasmesse, secondo le disposizioni vigenti, cinque edizioni del Catalogo, con una serie storica di dati monitorati che va dal 2016 al 2021. L’ultima (la sesta) è stata pubblicata, senza ricevere l’attenzione che pure avrebbe meritato, a gennaio 2025 e – basata sui dati del 2022 – prende espressamente in esame 183 misure con impatto ambientale che hanno registrato un effetto finanziario nel corso del 2022.

Il Catalogo evidenzia una stima di 20,3 miliardi di euro allocati per i sussidi ambientalmente favorevoli (SAF), di 24,2 miliardi di euro per i sussidi ambientalmente dannosi (SAD) e di 13,8 miliardi di euro per i sussidi ambientalmente incerti (in relazione agli effetti sull’ambiente, SAI), con un saldo dunque negativo pari a quasi 4 miliardi di euro.

La prevalenza dei sussidi ambientalmente dannosi su quelli ambientalmente favorevoli è un dato che già di per sé dovrebbe far riflettere, senza dimenticare – tra l’altro – che ben 17 miliardi di euro di sussidi ambientalmente sfavorevoli sono stati destinati specificamente al settore dei combustibili fossili, con un andamento addirittura in aumento rispetto all’analogo del 2021 (con un incremento di 3,2 miliardi di euro), ancorché dovuto prevalentemente alla crisi energetica mondiale e all’instabilità nell’approvvigionamento dalle stesse fonti fossili.

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SAD, SAF e SAI

Un primo rilevante problema, nell’impostare il tema dei sussidi, ha innanzitutto carattere metodologico.

In letteratura economica, vi sono diverse definizioni più o meno ampie riconducibili a tre profili principali, secondo cui un sussidio può essere:

  • «un trasferimento dello Stato verso un soggetto privato»: questa definizione, adottata dalla World Trade Organization (WTO), indica il sussidio come qualsiasi trasferimento di natura finanziaria pubblica che apporti un beneficio o un vantaggio al beneficiario privato da parte del soggetto erogatore pubblico;
  • «il risultato di un’azione statale che procura un vantaggio a produttori o consumatori con l’obiettivo di ridurre i loro costi o aumentare i loro redditi», come invece suggerito dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE);
  • «lo scarto fra il prezzo osservato e il costo marginale sociale della produzione, che internalizza i danni alla società», secondo la definizione fatta propria dal Fondo Monetario Internazionali (FMI).

Nel Catalogo si adotta una definizione ampia di sussidio, comprendendo «incentivi, agevolazioni, finanziamenti agevolati ed esenzioni da tributi direttamente finalizzati alla tutela dell’ambiente», in accordo con la più recente definizione datane proprio dall’OCSE per cui: «un sussidio è una misura che mantiene i prezzi per i consumatori al di sotto dei livelli di mercato, o mantiene i prezzi per i produttori al di sopra dei livelli di mercato o che riduce i costi per i produttori e i consumatori, tramite sostegno diretto o indiretto». In rari casi (ed è uno dei limiti del metodo d’indagine), nel Catalogo è stata inclusa anche una tipologia di sussidio “implicito”, ovvero quella forma di agevolazione che emerge implicitamente da una determinata differenziazione del livello di tassazione e che può favorire l’adozione di tecnologie o combustibili più o meno inquinanti.

A livello di classificazione, seguendo l’approccio teorico i sussidi sono poi distinti in sussidi diretti (on-budget) e sussidi indiretti (off-budget).

Una volta definito l’ambito oggettivo del Catalogo, l’altra questione preliminare metodologica attiene quindi alla valutazione ambientale che del sussidio deve essere data, al fine di identificarne appunto gli effetti ambientali.

A tal fine, l’analisi del MASE adotta uno strumento di valutazione di tipo qualitativo, basato su checklist, che prevede la ricerca delle risposte a tre quesiti: 1) Gli standard ambientali, le restrizioni e le politiche ambientali in generale sono in grado di mitigare l’impatto ambientale del sussidio? 2) Vi sono tecnologie, prodotti o metodi di produzione disponibili in grado di rimpiazzare il prodotto sussidiato e quali sono i profili ambientali di queste tecnologie e metodi di produzione rispetto a quelli oggetto del sussidio? 3) Qualora il sussidio fosse rimosso, quale sarebbe la risposta delle imprese precedentemente sussidiate in termini di volume di produzione, sfruttamento delle risorse e conseguente impatto ambientale?

Sulla scorta del riscontro ai quesiti della checklist, il sussidio viene quindi ascritto a quelli ambientalmente dannosi (SAD) o a quelli ambientalmente favorevoli (SAF), utilizzando come categoria residuale quella per cui la valutazione del sussidio rimane incerta (SAI).

In alcuni casi, quali per esempio i sussidi ai combustibili fossili, il sussidio ha esternalità negative sull’ambiente evidenti e rilevanti e, di conseguenza, esso può essere classificato come un sussidio ambientalmente dannoso (SAD). In altri casi, i sussidi introdotti con finalità ambientali specifiche possono essere certamente definiti sussidi ambientalmente favorevoli (SAF), poiché nel momento stesso in cui vengono introdotti, mirano a raggiungere obiettivi ambientali (si pensi alle misure volte alla riduzione delle emissioni da GHG, alla riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici o alla salvaguardia degli ecosistemi). In altri casi, il sussidio introdotto, pur non avendo finalità non dichiaratamente ambientali, può comunque avere effetti positivi sull’ambiente e quindi essere annoverato tra i SAF.

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Tuttavia, nonostante gli sforzi metodologici di cui si è detto, sono i metodi di calcolo che finiscono per incidere significativamente sulla definizione dell’ammontare complessivo dei sussidi.

Sulla scorta della ricognizione fattane dal MASE, infatti, non tutti i benefici economici concessi a settori legati alle fonti fossili o inquinanti vengono computati tra i SAD: basti rilevare al riguardo che, salvo rari casi, il Catalogo non include tutti i sussidi impliciti. Il caso più eclatante, ad esempio, riguarda il diverso trattamento fiscale tra gas ed elettricità, che va a svantaggio dell’elettrificazione dei consumi, essenziale per abbattere le emissioni, che pure sfugge all’analisi del Catalogo.

Non è un caso che, stando invece alle differenti stime FMI, i SAD italiani – tenendo conto anche dei sussidi impliciti – ammonterebbero in realtà a oltre 60 miliardi di euro, cioè circa il triplo di quelli effettivamente mappati dal MASE.

La riduzione dei SAD

Pur con i possibili limiti di cui si è detto, il Catalogo costituisce uno strumento informativo fondamentale, poiché – come ricorda il World Economic Forum – «Good policy making requires good data and good data analysis»: lo strumento è certamente perfettibile, ma costituisce pur sempre un punto di partenza.

A partire da esso, infatti, il Comitato interministeriale per la transizione ecologia (CITE), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, dovrà definire – entro il 2025 – la graduale riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi in accordo con gli obiettivi della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, il principio di Do Not Significant Harm, dell’European Green Deal, della strategia Fit for 55 (volta a ridurre le emissioni dell’Unione di almeno il 55% entro il 2030) e in linea con il Piano Nazionale della Transizione Ecologica.

Manca un piano organico che permetta la riduzione dei SAD

Proprio nell’ambito del processo di revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), per consentire l’integrazione degli obiettivi del RePowerEU, è stata approvata ad aprile dello scorso anno la nuova Missione 7 (“Potenziare delle infrastrutture ed implementazione delle strategie per favorire una transizione verso un’economia più sostenibile”) e la Riforma 2 (“Transizione ecologica e per l’innovazione”) per la riduzione dei SAD ed il Catalogo è stato peraltro indicato quale riferimento tecnico per il reperimento dei dati (base-line del monitoraggio). La Riforma, in particolare, pone un ambizioso primo obiettivo PNRR di riduzione dei SAD entro il 2026 (2 miliardi) ed impone un percorso di ulteriore graduale riduzione fino al 2030 (per ulteriori 3,5 miliardi), ma gli strumenti per raggiungere questi obiettivi rimangono insufficienti e (e si tratta forse del dato più preoccupante) difetta ancora una strategia.

Se, da un lato, il Catalogo ha costituito il riferimento tecnico per la rassegna dei sussidi ad impatto ambientale e dei sussidi alle fonti fossili al quale si è fatto effettivamente ricorso nel processo di revisione delle accise dei combustibili fossili poi versato nel Decreto Legislativo 28 marzo 2025, n. 43 (“Revisione delle disposizioni in materia di accise”), dall’altro sembra mancare un piano organico, integrato con le politiche economiche e fiscali, che consenta di pianificare la graduale riduzione dei SAD con misure di supporto per la decarbonizzazione e per le fasce sociali più vulnerabili.

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Si rilevi che lo stesso MASE (nella relazione di accompagnamento al Catalogo) ha precisato il grado di riformabilità dei SAD, chiarendo quanti siano immediatamente modificabili a livello nazionale, rispetto a quelli che invece abbisognano di un intervento esclusivo dell’Unione Europea o di un intervento congiunto sia nazionale che comunitario, in base alla ripartizione delle competenze tra UE e Stati membri, attestando che “la maggior parte dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) sono comunque riformabili a livello nazionale con 20 miliardi di euro di SAD, di cui 10,7 riguardano il Testo Unico dell’Iva e 6,2 i sussidi energetici inefficienti e alle fonti fossili”.

In assenza di una strategia, l’obiettivo di riduzione dei SAD versato nel PNRR – anche in questo caso – sembra, sia con riferimento all’obiettivo intermedio (- 2 miliardi entro il 2026), che con riferimento al target (- ulteriori 3,5 miliardi entro il 2030) lontano dall’essere raggiunto.

Il testo è tratto dalle pagine di QualEnergia di luglio/agosto 2025

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La riduzione dei Sussidi ambientalmente dannosi in Italia è tra gli obiettivi del PNRR, ma c’è un’assenza di strategia

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Andrea Filippini

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