Per fruire del beneficio tributario il contribuente deve dimostrare in modo inequivocabile e attraverso l’adempimento di tutti gli oneri, anche formali, di possederne i requisiti
Con l’ordinanza n. 18712, del 9 luglio 2025, la Corte di cassazione torna a pronunciarsi sul delicato equilibrio tra oneri formali e requisiti sostanziali per l’accesso ai regimi fiscali di favore.
Il caso riguarda una società cooperativa agricola a cui erano state disconosciute le agevolazioni Ires per l’omessa compilazione di alcuni quadri del modello dichiarativo.
In tale contesto la Corte suprema ribadisce un fondamentale principio: il diritto a un beneficio fiscale non può prescindere da una corretta e completa rappresentazione dei dati in dichiarazione, quale presupposto indispensabile per l’esercizio del potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria.
La pronuncia cassa con rinvio la decisione della Commissione tributaria regionale della Puglia, responsabile di aver erroneamente accordato prevalenza al dato sostanziale dell’attività svolta dalla contribuente, a discapito della palese violazione degli obblighi dichiarativi.
Nello specifico, a seguito di un controllo documentale, l’ufficio aveva rilevato che la società, pur operando nel settore della raccolta e prima lavorazione di prodotti agricoli, aveva omesso la compilazione dei quadri RF (Reddito d’impresa) ed RS del modello Unico. Tale omissione, secondo l’Agenzia delle entrate, impediva la verifica della sussistenza dei presupposti per godere delle agevolazioni previste per le cooperative dal Dpr n. 601/1973 e dalla legge n. 904/1977.
I giudici di primo e secondo grado ritenevano che il beneficio fiscale spettasse in via “automatica” alla cooperativa, indipendentemente dalla formalità dell’indicazione in dichiarazione, e che pertanto l’ufficio avesse il dovere di esaminare nel merito le scritture contabili per verificare la spettanza del beneficio.
La Corte suprema, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia, fonda la decisione su un orientamento giurisprudenziale definito “costante” che merita di essere riaffermato con chiarezza. Il fulcro del ragionamento dei giudici di legittimità risiede nel principio secondo cui, per poter beneficiare di un’agevolazione tributaria, non è sufficiente il mero possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge. È altresì indispensabile “pur in assenza di esplicita indicazione legislativa, che essa abbia, con riferimento allo specifico periodo di imposta, regolarmente presentato la dichiarazione dei redditi e correttamente tenuto la contabilità”, tutto ciò allo scopo di porre l’Amministrazione finanziaria nella “condizione di svolgere il proprio compito di controllo ed accertamento dei presupposti per godere dei benefici in questione”.
Citando espressamente propri precedenti (fra le altre, la pronuncia n. 18404/2021), la Corte sottolinea che la regolare presentazione della dichiarazione dei redditi e la corretta tenuta della contabilità non sono meri orpelli burocratici, ma costituiscono il presupposto indefettibile per la fruizione dei benefici.
La dichiarazione dei redditi, infatti, non è una semplice comunicazione, ma un atto giuridico fondamentale nel rapporto tra Fisco e contribuente stante il principio di autoliquidazione del tributo e, soprattutto serve a manifestare la volontà di avvalersi di specifici regimi di favore, fornendo all’ufficio gli elementi necessari per una prima valutazione di congruità.
L’omessa o incompleta compilazione dei quadri rilevanti crea, quindi, un vulnus informativo che paralizza la funzione di controllo preventivo dell’Amministrazione. Non rileva la successiva produzione documentale che non può sanare l’originaria e grave omissione dichiarativa, neppure se avvenuta nell’ambito dei procedimenti di autotutela e di accertamento con adesione, come avvenuto nel caso in esame.
Tale approccio si allinea alla tesi prevalente, più volte affermata dalla stessa Corte, secondo cui in materia di agevolazioni fiscali, che costituiscono una deroga al generale principio di capacità contributiva e di soggezione all’imposta, l’onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti normativi grava interamente sul contribuente che ne invoca l’applicazione. È il soggetto che intende fruire del beneficio a dover dimostrare, in modo inequivocabile e attraverso l’adempimento di tutti gli oneri, anche formali, di possederne i requisiti. Ciò comporta che la pretesa di imporre al Fisco un “potere/dovere di accertare” pur in assenza degli elementi basilari richiesti, si traduce in un’illegittima inversione dell’onere probatorio, onere che trova il suo fondamento nell’articolo 2697 del codice civile e che non può essere derogato anche alla luce dell’introduzione dell’articolo 7, comma 5-bis del Dlgs. n. 546/1992.
L’ordinanza in commento ribadisce con fermezza un principio cardine del diritto tributario: la collaborazione tra contribuente e Amministrazione finanziaria si fonda, innanzitutto, sul rispetto degli oneri formali. Il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, pur centrale in molti ambiti del diritto tributario, non può essere invocato per giustificare inadempimenti che compromettono la funzionalità stessa del sistema di accertamento. Dal punto di vista operativo, la decisione offre spunti di riflessione cruciali.
In particolare, non è negoziabile l’assenza della massima diligenza nella compilazione della dichiarazione dei redditi nel caso di accesso ai regimi di favore.
Nella statuizione in esame è inoltre da ritenere fondamentale la riaffermazione della regola generale applicabile nei casi di tax expenditures, dove l’onere probatorio è posto a carico del contribuente che intende avvalersi del beneficio.
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