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Il buco nero dell’usura, business delle mafie. «A rischio 118 mila imprese»


di Gian Antonio Stella

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Libera: «Un italiano su 3 ne ha esperienza diretta o indiretta. Ma non se ne parla»

Non ne parla nessuno: mai la Meloni, mai Salvini, mai Tajani, mai la Schlein, mai Conte, mai Calenda, mai Renzi, mai Bonelli, mai Fratoianni… Eppure, a dispetto della indifferenza dei leader italiani testimoniata dall’archivio Ansa, lo spettro dell’usura turba i sonni di troppi italiani. Quanti esattamente? Boh… Perché, come si sgola a dire da anni papa Francesco «l’usura è un male antico e ancora sommerso che, come un serpente, strangola le vittime». Nel silenzio. Rotto solo da qualche suicidio, qualche auto bruciata, qualche colpo di pistola contro una serranda. O da intercettazioni come quella dello strozzino di Nicolò Fagioli: «Dammi i miei soldi o giuro che ti faccio smettere di giocare! Ti faccio fare il muratore!». 

Eppure sono tanti, gli indizi per capire quanto siano lunghi i tentacoli della piovra. «Sono quasi 118 mila le imprese italiane che si trovano a rischio usura», denuncia l’Ufficio studi Cgia di Mestre, che parla di 39.538 aziende in sofferenza nel solo Mezzogiorno. «L’usura è il fenomeno illegale percepito in maggior aumento dagli imprenditori (per il 25,9%), seguito da abusivismo (21,3%), estorsioni (20,1%) e furti (19,8%). Trend più marcati nel Sud e nel commercio al dettaglio non alimentare dove si registrano percentuali più elevate e dove, in particolare, l’usura è indicata in aumento da oltre il 30% delle imprese», citava due anni fa Confcommercio. Due mesi fa, la conferma della sede romana: «Al 31 dicembre 2024 il 48% degli utenti dell’Ambulatorio Antiusura è costituito da imprenditori, seguiti dai dipendenti (36%), dai pensionati (12%) e da una quota residuale di persone senza reddito. Il sovra-indebitamento coinvolge l’89% degli utenti, mentre l’11% si trova in una condizione di usura». Certifica l’Eurispes: negli ultimi sette anni gli italiani indebitati fino al collo che, non avendo amici o parenti in grado di aiutarli e «non potendo accedere a prestiti bancari», dicono di essere stati costretti a farseli prestare da «privati» sono raddoppiati. Dal 7,8 al 13.6%.




















































E chi sono questi oscuri «privati», se non gli usurai? Colletti bianchi di «sportelli» paralleli che si fanno firmare assegni post-datati o atti di cessione di terreni o appartamenti. O peggio uomini legati alla criminalità organizzata, gli unici, spiega il procuratore Nicola Gratteri, che «non chiedono garanzie. Più uno è mafioso meno bisogno ha di garanzie. La sua forza è l’intimidazione: chi riceve i soldi sa che rischia la pelle se non li restituirà. Fine». Non solo al Sud. 

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Ma qual è il «fatturato» dell’usura? Ministero dell’Economia, Corte dei Conti, Banca d’Italia e altri ancora si sbilanciano in documenti ufficiali nella stima dell’evasione («scesa di 26 miliardi (…) passando da 108,4 miliardi nel 2017 a 82,4 nel 2021, ultimi dati disponibili») anche nei dettagli. Ma sullo strozzinaggio no, ha scritto Antonio Maria Mira su Avvenire, il giornale forse più attento al tema: mai una stima. Da anni. Eurispes ipotizzò un giorno, per il 2015, «un totale annuo di quasi 81,9 miliardi di euro». Troppi? O pochi, se il business del solo gioco d’azzardo, la piaga denunciata dal presidente della Cei Matteo Zuppi («Assistiamo impotenti alla crescita inarrestabile sia nel volume di spesa che nell’enorme offerta di giochi e scommesse con drammatiche ricadute sulle persone più fragili»), è montato dai 25,5 miliardi del 2004 ai 157 dell’anno scorso? Se si moltiplicano le offerte on-line di prestiti? Se i «compro oro» soltanto a Roma sono passati in pochi anni da 7 a 269 e le licenze per quell’attività, secondo il dossier del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, già nel 2019 erano salite in tutta l’Italia a 29.511?
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Certo le denunce, a dispetto degli incoraggiamenti delle associazioni di categoria, delle ong antiusura, degli appelli televisivi (ancora Gratteri: «Son qui per dire agli usurati e agli estorti: denunciate, venite a trovarmi. Anche di sabato e domenica, contattatemi, denunciate») sono sempre poche. Troppo poche. «Una su due delle persone che si rovinano col gioco d’azzardo finisce nelle mani degli usurai. E cioè nella grande maggioranza dei casi nelle mani della criminalità organizzata», accusa don Luigi Ciotti. Eppure… Libera, l’associazione delle associazioni nata trent’anni fa, ha appena fatto un’inchiesta su tre città: Torino, Firenze, Napoli. Chiedendo ai cittadini: «Esiste un problema usura nella tua città?». Rispondono «no, per nulla», solo il 14,89% dei fiorentini, l’8,72 dei torinesi, l’1,03 dei napoletani. Tra i quali quelli che parlano di un problema abbastanza o molto serio sono il 57%. Di più: «il 29,90% dei rispondenti afferma d’aver conosciuto qualcuno coinvolto in questa attività illecita». 

Come è possibile allora, accusa la Corte dei Conti nel documento La prevenzione dell’usura, che il numero delle vittime degli strozzini sia «sottostimato» con una «media annua di 285 casi» a livello nazionale nonostante nel 2021 citato per gli ultimi dati ci fossero «non meno di 176 mila imprese italiane esposte al concreto rischio di usura in quanto insolventi secondo la centrale rischi della Banca d’Italia» e gli «usurati» fossero «non meno di 200mila»? Una risposta la diede ancora papa Francesco: «L’usura umilia». Chi ci precipita dentro è oppresso non solo dai debiti ma dalla vergogna. Dalla paura che gli altri, gli stessi familiari, sappiano del precipizio spalancatosi davanti. Senza alcuna possibilità, per milioni di persone, come spiegano il direttore della Caritas ambrosiana e presidente Consulta nazionale antiusura Luciano Gualzetti e il rapporto 2025 di Gruppo Banca Etica, d’avere accesso a qualunque strumento bancario. 

E lo Stato? Dice la relazione del Commissario straordinario Maria Grazia Nicolò, pubblicata un paio di settimane fa, che il Fondo ha distribuito nel 2024 alle vittime di estorsione e usura che avevano presentato «637 istanze definite», 14 milioni di euro. Evviva. Tanto più in tempi di vacche magre. Si tratta, tuttavia, dello 0,01% scarso di quei 157 miliardi, più dell’intera spesa sanitaria, buttati dagli italiani nel vortice dell’azzardo incentivato, a dispetto dei proclami d’un tempo, dallo stesso Stato-biscazziere. Stato che a sua volta «nell’assillo di reperire entrate per pagare la spesa corrente», accusano due dei massimi esperti del tema cioè Maurizio Fiasco e Michela di Trani nel libro Liberi dal debito, ha «irrazionalmente legato la fiscalità a una nocività di grave impatto sociale: le scommesse, le lotterie, le slot machine, il casinò on line». Finendo infettato «dallo stesso paradosso che da secoli si verifica col tabagismo: una curiosa dipendenza patologica».

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18 aprile 2025 ( modifica il 18 aprile 2025 | 23:24)

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